Pd: reddito cittadinanza non viene dato a residenti all’estero

Italiani all'estero ultimo dei pensieri del governo

GEN 22, 2019 -

Roma, 22 gen. (askanews) – I Parlamentari PD eletti all’Estero: Garavini, Giacobbe, Carè, La Marca, Schirò e Ungaro denunciano: il reddito di cittadinanza non viene dato ai residenti all’estero

Il testo del decreto legge contenente le regole applicative del reddito di cittadinanza e della cosiddetta “quota cento”, – dicono i parlamentari – dopo la proposta di riduzione degli eletti nella circoscrizione Estero e la mancanza di risposte della manovra finanziaria, conferma in modo evidente che per questo governo e per la maggioranza 5Stelle-Lega-Maie gli italiani all’estero sono l’ultimo dei pensieri, anzi non esistono.

Il reddito di cittadinanza, o meglio ciò che ne resta dopo i tagli di risorse concordati con l’UE, può essere richiesto dai cittadini italiani e da una serie di altri soggetti (cittadini di paesi dell’Unione europea o di paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con l’Italia o di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE di lungo periodo), a condizione che al momento della domanda risiedano in Italia da almeno dieci anni in modo continuativo.

Quindi, chi è all’estero e perde il posto di lavoro o decide comunque di rientrare non può presentare domanda. Chi è andato all’estero negli ultimi anni – e sono centinaia di migliaia, secondo le statistiche – per esperienze brevi di lavoro e poi è tornato, è escluso. Coloro che stanno lasciando con disperazione le zone di crisi, come il Venezuela con la speranza di trovare accoglienza nel paese di origine, devono rivolgersi altrove, con buona pace delle affermazioni fatte di recente dal Sottosegretario Merlo a un giornale venezuelano. Senza contare le ristrette griglie reddituali che renderanno pressoché impossibile l’accesso anche ai pochi che possano avere miracolosamente i requisiti della cittadinanza e della residenza.

Questi sovranisti irresponsabili e dilettanti allo sbaraglio, tra l’altro, nemmeno si pongono il problema che vi sono partner europei che concedono misure di sostegno sociale ai cittadini stranieri in base ad una decorrenza della residenza molto più limitata. Nella sola Germania, ad esempio, il sistema di assistenza sociale assiste oggi circa 70.000 italiani residenti nel paese da soli 5 anni. Di fronte ad una disparità così vistosa di trattamento, questi Stati come reagiranno? Ci saranno conseguenze per i nostri connazionali lì residenti?

Ma le “dimenticanze” e le “disattenzioni” non si fermano qui. Quando all’art. 4 si parla dei patti per il lavoro tra i disoccupati richiedenti il reddito di cittadinanza e i centri per l’impiego, nemmeno una parola si dice sull’informazione, l’orientamento e la formazione professionale delle centinaia di migliaia di giovani che, non trovando lavoro in Italia, sono costretti ogni anno a recarsi all’estero, senza alcuna forma di informazione, tutela o accompagnamento. Perché i (costosi) centri per l’impiego non dovrebbero assolvere anche ad una funzione informativa e di qualificazione professionale per coloro – tanti – che non riusciranno ad avere una chiamata di lavoro e per scelta o per necessità andranno all’estero?

Non solo non esistono, dunque, gli italiani all’estero, ma non esistono nemmeno i nuovi emigranti, che pure sono una delle espressioni più dirette e vistose della crisi sociale che il Paese sta attraversando. Nel passaggio alle Camere del decreto, ancora una volta toccherà a noi far presente nelle aule del Parlamento che gli italiani all’estero invece esistono, hanno pari diritti e vanno tutelati come tutti gli altri cittadini italiani.

Vedremo se gli altri eletti all’estero si risveglieranno dal loro torpore e saranno capaci di abbandonare il loro sterile propagandismo, mettendosi sul piano delle proposte e dell’impegno per cercare di ridare una rotta accettabile a una nave che ha preso una preoccupante deriva.