## Caso Huawei dimostra a Russia che sanzioni Usa non perdonano

Parere dall'ufficio di Mosca di importantissimo studio legale Usa

DIC 7, 2018 -

Mosca, 7 dic. (askanews) – Le sanzioni americane non perdonano e il caso Huawei lo spiega forte e chiaro, oltre a dirci che “hanno sempre e comunque, e quasi esclusivamente un aspetto politico”. Lo dice ad askanews Massimiliano Ballotta, director of Business Consulting e partner di Legalife Diaz Reus, ufficio di Mosca di un importante Studio legale Usa e tra i più qualificati nelle sanzioni, con oltre trent’anni di pratica nella materia. Le conseguenze possono essere “molto gravi, per l’eventuale violazione. Sia di tipo monetario, che potenzialmente di tipo penale” e “il tutto è previsto ufficialmente dall’Ofac, l’Office of Foreign Assets Control del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti”, spiega Ballotta, chiamato a commentare sulle conseguenze del caso Huawei. Pur specificando che il fermo di Meng Wanzhou in Canada ha anche “altri connotati, legati ad altri temi, a parte le sanzioni”.

Secondo il rappresentante di Legalife Diaz Reus, “le sanzioni americane si applicano a tutti i programmi sanzionatori. Ci sono alcuni Paesi che sono sotto embargo, e quindi parliamo di sanzioni al Paese. Come nel caso Huawei è l’Iran. Sulla top manager arrestata, con richiesta di estradizione dal Canada agli Stati uniti, quindi è applicabile una sanzione relativa a un’altra giurisdizione. Infatti i soggetti ed entità legali non statunitensi che commettono una violazione palese delle sanzioni, sono soggetti a una cosiddetta sanzione secondaria”. Potrebbe capitare a un soggetto russo “una cosa equipollente, se ad esempio una grande azienda russa contravvenisse al programma sanzionatorio sull’Iran. Prendiamo un’ipotetica azienda petrolifera russa: se facesse una transazione con una società iraniana, proibita dalle sanzioni, sarebbe tranquillamente passibile di arresto, come capitato in questo caso”.

Una delle principali prerogative delle sanzioni americane – continua Ballotta – rispetto a quelle europee è l’imprevedibilità e l’escalation. “Perché le sanzioni dell’Ofac cambiano spesso, sono in incremento perché gli Stati Uniti mettono più pressione, e sono decise da una singola autorità. Mentre quelle europee devono essere approvate dal Consiglio all’unanimità, quindi ci vuole il consenso di 28 paesi. È un processo che richiede del tempo ed è meno imprevedibile”. Il rispetto delle sanzioni Usa inoltre è “molto capillare a livello internazionale, ha un reach globale, poiché ci sono molte più transazioni in dollari, le sanzioni sono più vaste, più dettagliate, e quindi c’è una più alta probabilità che qualcuno finisca nelle sanzioni americane. Si tenga presente che anche cittadini di Paesi terzi, ovvero un cittadino europeo o russo, la cui transazione ha una qualsiasi relazione con una banca americana, diventa soggetto di sanzioni americane. Come se fosse sul territorio americano. Quindi l’ambito è molto più coercitivo e molto più ampio delle sanzioni europee”.

Il caso Huawei ha insomma numerosi risvolti, non solo dal punto di vista delle già complicatissime relazioni Usa-Cina. È anche un forte avvertimento alle società che si muovono in ambito internazionale. “In primo luogo bisogna fare un lavoro preventivo sulle sanzioni, poiché è diventato molto importante che le singole aziende si dotino di un programma di compliance. Devono sapere le conseguenze delle sanzioni e capire chi sono gli interlocutori nel fare affari. Sta diventando qualcosa di obbligatorio. Non si può far finta di non sapere. Se si vuole ad esempio lavorare con la Russia oggi, non basta la lista delle aziende sotto sanzioni”.

L’Ofac segue infatti, tra le altre, la regola del cosiddetto “50%”. Diventa automaticamente sanzionata una società, in cui uno o più azionisti hanno anche cumulativamente il 50% o più in un’altra aziende sanzionata o anche se essi sono sanzionati a livello personale (sulla lista SDN). “Per cui se voglio vendere dei beni a un’altra azienda russa, dovrò conoscerne la proprietà”.

In altre parole un’attività di “business intelligence”. Ovvero sapere chi è il mio interlocutore. Non posso più semplicemente interessarmi di un contratto di vendita. Devo essere sicuro che la proprietà di questa azienda non è legata a chi compare sulla lista nera”. Questo caso conferma inoltre che “l’Ofac ha una forza esecutiva internazionale”. L’Ofac, stabilito nel 1950, con la sua lunga storia e grande esperienza, si giova poi di “grande imprevedibilità nell’imporre queste sanzioni. Non si possono prendere sottogamba”. Oltre all’aspetto penale che emerge. “Ma questo è scritto in modo molto chiaro nel regolamento dell’Ofac”. Salato è anche il conto da pagare, in caso di contravvenzione. “C’è stata ad esempio – conclude Ballotta – una multa pagata da 1 miliardo di dollari circa in passato. Di recente un accordo amichevole con Société Générale ha previsto il pagamento di 53 milioni 966 mila dollari e l’impegno a sistemare il quadro di azione legato alle sanzioni. La base dalla quale si era partiti erano 101 milioni di dollari”.