“Una Bibbia delle Donne”: 20 teologhe sfidano la lettura ‘patriarcale’ delle Scritture

Testi riletti per contrastare visione di donna sottomessa all'uomo

NOV 27, 2018 -

Ginevra, 27 nov. (askanews) – Stanche di vedere i testi sacri usati per giustificare la sottomissione, anche l’inferiorità delle donne, un gruppo di teologhe – cattoliche che protestanti – si è unito per scrivere “Una Bibbia per le Donne”. Mentre il movimento #MeToo continua a denunciare abusi e violenze in diversi contesti culturali e diversi settori, alcuni studiosi della cristianità stanno chiedendo a gran voce che si ammetta che certe interpretazioni bibliche hanno contribuito a creare una immagine negativa delle donne. Le teologhe ribelli, invece, sostengono che con le giuste interpretazioni, la Bibbia può essere uno strumento di promozione dell’emancipazione femminile.

Così è nata “Une Bible des femmes” (Una Bibbia delle donne) pubblicata il mese scorso dalla casa Labor et Fides. Un’opera collettiva che realizza un progetto lanciato a Ginevra da Elisabeth Parmentier e Lauriane Savoy. Il principio guida usato da quest’ultima è che “i valori femministi e la lettura della Bibbia non sono incompatibili”. Docente alla Facoltà di Teologia di Ginevra che fu fondata sotto l’influenza di Giovanni Calvino nel 1559, Savoy racconta oggi di avere deciso di lanciare il progetto dopo aver notato – assieme alla collega Elisabeth Parmentier – quanto poco la gente sapesse dei testi biblici.

“Tanta gente li riteneva completamente superati e senza rilievo per i valori odierni della parità”, ha spiegato la studiosa 33enne all’agenzia Afp. All’idea si sono associate poi altre 18 teologhe, per un totale di 20 studiose da diversi Paesi e diversi rami della cristianità. Ed è stata creata una collezione di testi che sfidano le tradizionali interpretazioni della Bibbia dove la donna è presentata come debole e subordinata agli uomini che le circondano.

Parmentier fa l’esempio di un passaggio del Vangelo di Luca, in cui Gesù visita le due sorelle Marta e Maria. Di Maria si dice che si occupa del “servizio”, espressione interpretata come riferimento al fatto che serviva il cibo, ma “la parola greca diakonia ha altri significati, ad esempio quello di diacono”.

Le due promotrici del progetto ginevrino si sono ispirate a un lavoro del 1898 della suffragetta americana Elizabeth Cady Stanton che, assieme a un comitato di altre 26 donne, realizzò “La Bibbia delle Donne” nel nome dell’apertura a una dimensione paritaria nel rapporto con la donna. Inizialmente Elisabeth Parmentier e Lauriane Savoy pensavano di tradurre semplicemente l’opera, poi hanno concordato che un lavoro vecchio di 120 anni andava necessariamente aggiornato con criteri del 21esimo secolo.

Nell’introduzione alla “Bibbia delle Donne” le autrici affermano che ogni capitolo intende “esaminare le evoluzioni nella tradizione cristiana, cose che sono rimaste nascoste, traduzioni tendenziose, interpretazioni parziali”. L’obiettivo è affrontare “la persistenza delle letture patriarcali che hanno giustificato numerose limitazioni e divieti per le donne”.

Savoy fa notare ancora che Maria Maddalena, “il personaggio femminile che compare più spesso nei Vangeli”, è un personaggio “fondamentale, ma descritto come una prostituta e, in una nuova ondata di fiction, anche come l’amante di Gesù”. Mettendo in secondo piano il fatto che Maria Maddalena resta con Gesù che sta morendo sulla croce, mentre tutti gli altri hanno paura, discepoli compresi. Ed è lei a recarsi per prima alla tomba di Gesù e a scoprire la sua resurrezione”.

Nella “Bibbia delle Donne”, spiega Parmentier, “ogni capitolo affronta questioni esistenziali per le donne, interrogativi che ancora oggi si pongono”. E in ultima analisi, “mentre c’è chi dice che per essere femminista devi buttare via la Bibbia, noi crediamo il contrario”.