Il giornalismo d’inchiesta rischia di morire: sempre più pericoloso

Rischi fisici e legali, ma soprattutto la presione dei over-the-top

AGO 28, 2018 -

Roma, 28 ago. (askanews) – I costi di un inviato di guerra e del giornalismo d’inchiesta stanno diventando proibitivi anche per le testate media più ricche. L’allarme è stato lanciato dai gruppi che si battono per una stampa libera.

Mentre i giganti di internet come Google e Facebook succhiano la gran parte delle entrate pubblicitarie sfruttando gratis i contenuti dei media tradizinali, il giornalismo di qualità è stato messo in un vicolo cieco.

Coprire le zone di conflitto è diventato, nello stesso tempo, costoso e pericoloso, ha spiegato Jean-François Leroy, leader di Visa pour l’Image, uno dei più importanti festival di fotogiornalismo in Europa. Mentre molti dei giornalisti uccisi mentre raccontavano le guerre in Vietnam o in Jugoslavia “non erano gli obiettivi”, oggi tutto è cambiato”, ha spiegato Leroy.

In tutto, secondo Reporter senza frontiere, quest’anno sono stati già uccisi 50 giornalisti nel mondo. Gruppi ribelli e criminali hanno ormai preso l’abitudine di considerare i giornalisti degli obiettivi e spesso li rapiscono per ottenere il riscatto.

“E’ diventato sempre più costoso coprire conflitti come quello in Iraq”, ha detto Leroy. “I costi per la sicurezza sono esplosi. C’è bisogno di fixer, guardie del corpo, traduttori e autisti. Qualche anno fa il New York Times ha stimato che raccontare una storia a Baghdad costava 8.600 euro al giorno”, spiega.

Anche il giornalismo d’inchiesta è stato schiacciato mentre il modello dei media mainstream veniva aggredito dai giganti tecnologici, spiega Gerard Ryle, capo del Consorzio internazionael del giornalismo d’inchiesta ICIJ. “Il giornalismo al momento sta lottando per la sopravvivenza”, sostiene Ryle. “Sta morendo. I modelli pubblicitari che sostenevano l’azione dei reporter, soprattutto il giornalismo investigativo, sono spezzati, e i media non hanno trovato un modo per replicarli”. A pagarne le spese, per prime “sono le inchieste, perché sono costose”, occupano “tempo” e sono anche “molto rischiose”.

Accanto ai rischi fisici, ci sono quelli legali. Difendersi dalle aggressioni legali può diventare molto costoso ed è facile finire in tribunale attaccati dalle grandi corporazioni che non vogliono far uscire la verità.

“C’è una pesante pressione sui giornalisti più giovani in modo che producano sempre più quello che è descritto come ‘churnalism’, un giornalismon che lavora molto rapidamente dimenandosi tra comunicati stampa, dichiarazioni e non avendo tempo per controllare i fatti e guardarsi attorno”, spiega ancora Ryle.

L’inchiesta sui Panama Papers, che è stato uno degli scoop più importanti dell’ICIJ, è costata 2 milioni di dollari, ha precisato Ryle. “A quello dovete aggiungere il costo di 300 giornalisti che hanno collaborato al progetto in 80 paesi del mondo, che vuol dire milioni in più”, insiste Ryle.

Eppure, nonostante il quadro a tinte fosche, il giornalismo d’inchiesta non è morto e sta vivendo una rinascita grazie a “un piccolo numero di giornaisti nel mondo”. Questo è in parte “grazie al non-profit, come il caso nostro, e grazie all’avvento di Trump e delle fake news: i giornalisti sono più interessati a dimostrare che quello che fanno è degno ed essenziale”. Per Ryle “il giornalismo sta combattendo per la sua sopravvivenza e sta cercando di rendersi necessario per contrastare tutti gli attacchi. Così in qualche modo si fa un miglior lavoro di reporting oggi”. In questo ha un ruolo anche l’azione dei filantropi, “che sentono il bisogno di sostenere il giornalismo investigativo”.

(Fonte Afp)