Valerij Gergiev: Ravello bella come chi resta giovane per sempre

Pubblico entusiasta dopo il concerto, portato da Stagioni Russe

AGO 22, 2018 -

Ravello (Salerno), 22 ago. (askanews) – “Ricordo la mia prima volta qui a Ravello, quando ero un direttore d’orchestra molto giovane: sia allora che oggi avevo la sensazione di qualcosa di unico, una piccola cittadina, molto piccola, ma una cultura grande, profonda”. Ha lasciato parlare la musica, ieri Valerij Gergiev all’Auditorium Oscar Niemeyer, ma poi alla tavola del ristorante Cumpà Cosimo, condivide con Askanews alcuni pensieri. Il maestro, uno dei più carismatici direttori d’orchestra della sua generazione, si è esibito in Costiera Amalfitana al chiuso, dopo che un temporale ha tolto al pubblico e anche a lui il piacere di un concerto “open air” sullo spettacolare Belvedere di villa Rufolo. Ai primi tuoni, la macchina organizzativa del Ravello Festival ha spostato strumenti, spartiti e pubblico e l’esibizione è stata comunque un altro successo per le Stagioni Russe, il programma culturale che si richiama a Sergey Djagilev e che quest’anno interessa il nostro Paese con oltre 310 eventi.

Ma Gergiev non è nuovo a Ravello. “La prima volta, se ricordo bene, è stata nel 1991: il Belvedere di Villa Rufolo, Rostropovich” afferma volgendo lo sguardo ad Alessio Vlad che siede alla sua destra. “Poi nel 1998 il Parsifal di Wagner e l’ultima, nel 2005 un concerto di musica sinfonica, un bel programma: questa è stata la quarta volta. E tutte e quattro le volte è stato con l’orchestra del teatro Marinskij. Ravello era già bella e bella è rimasta. Giovane per sempre. La natura qui è come un paradiso, come in una favola. Mi piace in una maniera smisurata”.

Il maestro rimase sin dalla prima volta colpito dal contrasto fra “queste piccole stradine e la storia europea e italiana” che da queste vie è passata, dal Boccaccio a Wagner. “Mi interessa molto, e in un certo senso mi stanno a cuore i luoghi storici. Amo molto questo tipo di posti. Sono stato in Sicilia, ad esempio. Anche là c’è molta storia. In Italia e in Russia ci sono luoghi davvero interessanti”. E mentre gli si fa notare che anche a Palmira, in Siria, dove nel 2016 ha diretto il concerto “Pray for Palmira” la storia cammina ancora oggi, Gergiev cambia espressione. Si passa una mano sul viso e risponde: “Quella siriana è una tragedia. Quello che hanno distrutto… è una grande tragedia. La Russia sta aiutando a ricostruire e a far tornare i profughi, ma tutto il mondo deve farlo. Il problema è far capire che tutto il mondo deve mantenere vivo quel monumento che è Palmira”. E poi ripete: “tutto il mondo. La Siria era debole. Non poteva difenderla da sola. La Russia è forte. Ma tutto il mondo deve farlo, tutti insieme: l’America, l’Europa, la Cina. Tutti e tutti insieme. Come si può “uccidere” Palmira? Domani “uccideranno” le piramidi, dopodomani la Muraglia cinese o il Colosseo a Roma”.

Gergiev non ha paura di dire quello che pensa o di essere controcorrente rispetto al mainstream occidentale. Quello che lo distingue è soprattutto la sua popolarità estesa e ampia, indipendentemente dalle sue posizioni politiche e dalla sua vicinanza al Cremlino. Ha fatto parlare ben prima del concerto di Palmira, quello tenuto il 21 agosto 2008 a Tskhinvali (Ossezia del Sud), nella piazza centrale stracolma: Gergiev e l’Orchestra del Teatro Marinskij suonarono in memoria delle vittime civili della guerra. Ma un altro elemento che lo contraddistingue è l’affetto e la lealtà che riesce a guadagnarsi e che il pubblico internazionale, come i suoi orchestrali, gli tributano. Oltre ovviamente al suo stile inconfondibile di direzione, dove la musica sembra quasi travolgerlo e impossessarsi di lui.

L’energia vitale di Gergiev è potente. Non a caso il Teatro Marinskij, sotto la sua guida, si è confermato uno dei sistemi teatrali più forti del Pianeta. “San Pietroburgo? Per me è la più bella città italiana al mondo” afferma, assaporando il gusto del paradosso e del mix culturale. “Di una bellezza mozzafiato. Architetti come Rossi, Rastrelli, Quarenghi: incredibile. Io sono nato a Mosca, ma sono osseto e cresciuto in Caucaso, a Vladikavkaz, che tremila anni fa era percorsa da tribù nomadi, che si spostarono fino all’Africa e alla Siberia: sono i miei antenati”.

Il maestro definisce quello di ieri un “bel programma russo”: “Petrushka” di Igor Stravinskij ma soprattutto la sinfonia Manfred in si minore op. 58 di Piotr Tchajkovskij, in cui l’azione si svolge sulle Alpi: scelta “certamente” non a caso. E quest’anno il direttore artistico del Marinskij è quasi di casa nel nostro Paese. “Le Stagioni Russe – continua – stanno aiutando molto a diffondere la nostra cultura e hanno raccolto un interesse enorme. Io sono già stato all’Auditorium Parco della Musica di Roma, e abbiamo suonato Iolanta (ultima opera di Tchaikovskij); è stato a gennaio. Il pubblico ha dimostrato un interesse veramente grande. E per me lo era altrettanto. Ci sono stati sei concerti. Una platea enorme, moltissime persone sono venute a sentirci. Tre giorni con l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia e tre giorni con quella del Marinskij. Penso sia un buon progetto. E poi Roma è una città fantastica, con una storia incredibile. Anche Mosca ha una storia speciale; è una città antica, magari non antica quanto Roma, ma penso comunque che queste due città possono avere uno scambio di relazioni. Dovrebbero”.

Ma Stagioni Russe, che ha trovato in lui un protagonista, non si ferma. Dopo il 2017 in Giappone e il 2018 in Italia, il festival della cultura russa nel 2019 arriverà in Germania, dove dovrebbe iniziare proprio con un concerto del Teatro Mariinsky sotto Valery Gergiev nel giorno del Natale ortodosso. A Berlino. Programma? “Per ora non abbiamo ancora deciso”, temporeggia, ma promette che “sarà qualcosa di buono”.