Eritrea, analista Usa: visita Yamamoto? “Incoraggiante” per il disgelo con l’Etiopia

B. Bruton: normalizzazione può aiutare verso una soluzione della crisi

APR 24, 2018 -

Roma, 24 apr. (askanews) – La prima visita da “oltre un decennio” di un vicesegretario di Stato americano in Eritrea è “un segnale incoraggiante del fatto che il governo Usa intende fare la sua parte per normalizzare i rapporti” dopo anni di politica di isolamento nei confronti di Asmara. Una normalizzazione delle relazioni bilaterali che potrebbe favorire una “risoluzione al conflitto tra Eritrea ed Etiopia”, il cui confine è ancora militarizzato a 18 anni dalla fine della guerra del 1998-2000, così come un “miglioramento della situazione dei diritti umani in Eritrea”, denunciata più volte dall’Onu e da organizzazioni umanitari come fattore scatenante dei flussi di migranti eritrei arrivati in Europa. Così Bronwyn Bruton, vicedirettrice dell’Africa Center del think tank americano Atlantic Center ed esperta di Corno d’Africa, ha commentato la visita di Donald Yamamoto in corso ad Asmara, da dove poi proseguirà alla volta di Gibuti, prima di concludere il tour regionale il 26 aprile ad Addis Abeba.

“E’ la prima volta in oltre un decennio che un vicesegretario di Stato americano visita l’Eritrea”, ha rimarcato Bruton, rispondendo via email a una richiesta di commento di askanews. Per Bruton, che ha più volte visitato l’Eritrea, incontrando il presidente Isaias Afewerki, funzionari di governo, diplomatici e personale Onu, questa visita è “un segnale incoraggiante del fatto che il governo americano intende fare la sua parte per cercare di normalizzare i rapporti, uno sforzo atteso a lungo”.

Per l’analista americana, infatti, proprio i rapporti tesi tra Washington e Asmara “hanno impedito finora di arrivare a una soluzione del conflitto al confine tra Eritrea ed Etiopia e hanno offerto spazio alle nazioni del Golfo per incrementare la loro presenza militare nel Corno d’Africa”. La guerra in corso dal 2015 nello Yemen e la crisi tra i Paesi del Golfo hanno in effetti avuto ripercussioni nella regione africana, portando gli Emirati arabi uniti, già presenti militarmente in Somalia, a posizionarsi nel porto eritreo di Assab, sul Mar Rosso, a fronte dell’impegno assunto da Asmara al fianco della coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita in Yemen. Riad ha invece iniziato a costruire una propria base militare a Gibuti.

“Rapporti migliori con l’Eritrea consentiranno agli Stati Uniti anche di avere più influenza nel Corno d’Africa in un momento in cui l’instabilità, soprattutto in Etiopia e in Somalia, sta assumendo proporzioni da crisi”, ha rimarcato Bruton. Chiaro il riferimento alle proteste antigovernative in atto dalla fine del 2015 in Etiopia, dove ancora oggi vige lo stato di emergenza nonostante le aperture dimostrate dal nuovo premier Abiy Ahmed, insediatosi solo all’inizio del mese, ma soprattutto alla fragilità della Somalia, già dilaniata da 30 anni di guerra civile e oggi di fatto teatro dello scontro in atto tra Qatar e Turchia da una parte, Emirati e Arabia Saudita dall’altra, per aver deciso di mantenere una posizione di neutralità nella disputa scoppiata lo scorso giugno tra i Paesi del Golfo.

“Un impegno costruttivo” con Asmara da parte di Washington, rispetto “alla politica punitiva” adottata dalla precedente amministrazione di Barack Obama, potrebbe anche “portare miglioramenti della situazione dei diritti umani in Eritrea”, ha concluso Bruton. L’amministrazione di Obama ha infatti sostenuto nel 2009 l’adozione di sanzioni Onu contro Asmara per presunto sostegno ai jihadisti somali Shebab. Accusa non dimostrata negli ultimi anni dagli esperti delle Nazioni unite incaricati delle indagini. Asmara ha sempre bollato le sanzioni come “ingiuste e illegali”.