La storia di Choi Eun-hee, l’attrice sudcoreana rapita da Pyongyang

La donna è morta all'età di 91 anni

APR 17, 2018 -

Roma, 17 apr. (askanews) – Choi Eun-hee, una delle più grandi attrici del cinema sudcoreano, è morta all’età di 91 anni. Oltre a essere un’interprete famosa, Choi è stata protagonista di un episodio terribile e avventuroso: rapita con il marito, il regista Shin Sang-ok, dalla Corea del Nord nel 1978, è riuscita rocambolescamente a fuggire nel 1986.

Choi era già la più famosa star del cinema della Corea del Sud, quando sposò il brillante regista Shin che, a sua volta, sarebbe diventato l’uomo di punta della cinematografia di Seoul. Nel 1978, tuttavia, i due cineasti caddero fuori dalle grazie del dittatore Park Chung-hee e, nella ricerca di un canale per poter fare altri film, furono rapiti mentre si trovavano a Hong Kong. Prima Choi, poi Shin.

L’attrice fu sopraffatta con la forza, sedata e portata in nave nella Corea del Nord dopo otto giorni di navigazione. All’arrivo sulle coste del Nord, trovò il figlio del leader nordcoreano Kim Il Sung, Kim Jong Il, che ne aveva ordinato il rapimento. All’epoca il futuro numero uno nordcoreano – che ha governato in prima persona il paese dal 1994 fino alla morte nel 2011 – era a capo della propaganda nordcoreana e quindi anche della cinematografia del paese. In seguito fu sequestrato anche Shin, che si era recato a Hong Kong sulle tracce della moglie (da cui all’epoca era separato).

Choi rimase prigioniera della Corea del Nord per otto anni. Non visse la dura esperienza del carcere, come capitò al marito. I due riuscirono a riunirsi quando Shin comprese che l’unica speranza per costruirsi una via di fuga era collaborare. Così, sotto l’auspicio di Kim, i due cominciarono a girare film a pieno ritmo. Ne fecero una decina, tra i quali il capolavoro del cinema nordcoreano, “Pulgasari”. Si tratta di una bizzarra pellicola, il cui protagonista è un mostra molto somigliante al giapponese “Godzilla”.

In un’intervista del 2011, Choi ha raccontato che il dittatore “ci rispettava come artisti e ci sosteneva in pieno”. Ma lei non avrebbe mai perdonato “l’oltraggioso e vergognoso rapimento”, pur ammettendo che il leader nordcoreano aveva permesso loro di fare “film con valore artistico, invece di film di sola propaganda che lodassero il regime”. D’altronde, Kim – un cinefilo che aveva, secondo le memorie di Shin, un archivio di 15mila film di tutto il mondo – non risparmiò fondi per costruire la casa di produzione e consentì loro di viaggiare all’estero, sia pure sotto una rigida sorveglianza.

Durante la prigionia, Choi poté andare a ritirare il premio per migliore attrice al Festival di Mosca del 1985 per il film “Sale”, che raccontava la lotta contro la potenza coloniale giapponese. In un viaggio in Ungheria, inoltre, i due si risposarono in base alle indicazioni di Kim Jong Il.

Fu solo nel 1986 che la coppia riuscì a fuggire. Erano a Vienna per un festival e furono aiutati da un giornalista dell’agenzia di stampa giapponese Kyodo a eludere il controllo delle guardia e a scappare in taxi fino all’Ambasciata degli Stati uniti. “Avevo ancora l’incubo di essere catturata dagli agenti nordcoreani”, raccontò in un’intervista del 2015. “Quando arrivai all’ambasciata – continuò – e mi fu detto ‘benvenuta all’Ovest’ scoppiai a piangere. Non riuscivo a smettere di piangere”.

Restava un dubbio. Per la Corea del Sud dell’epoca la loro storia risultava poco credibile. Erano stati considerati dei traditori, che si erano andati volontariamente a mettere sotto l’ala protettiva del regime di Pyongyang. Tuttavia Shin e Choi avevano una prova inconfutabile della loro buona fede. Con grande coraggio erano riusciti a registrare di nascosto una conversazione con Kim Jong Il nella quale, di fatto, il leader nordcoreano ammetteva il rapimento. E’ una delle rare registrazioni nelle quali si sente la voce del padre dell’attuale leader Kim Jong Un che, diversamente dal figlio, non amava parlare in pubblico.

La vicenda dell’attrice e del regista è uno dei tanti casi di rapimenti effettuati dalla Corea del Nord negli anni ’70 e ’80. Sono centinaia i sudcoreani rapiti e 17 i giapponesi (cinque dei casi restituiti a Tokyo). Sulla loro sorte, nella gran parte dei casi, non ci sono notizie.

I funerali di Choi, che era soprannominata la “regina” del cinema sudcoreano dagli anni ’50 ai ’70, si terranno giovedì a Seoul. La coppia era tornata in Corea del Sud nel 1999, dopo essersi stabilita negli Stati uniti un po per motivi di sicurezza un po perché Shin tentò una carriera americana che non gli diede tuttavia grandi soddisfazioni. Shin è morto nel 2006.

Mos/Int9