Presidenziali Egitto, i giovani della rivolta che non voteranno

Molta disillusione di fronte alla vittoria di Al-Sisi già decisa

MAR 20, 2018 -

Roma, 20 mar. (askanews) – In Egitto, mentre gli striscioni a sostegno a un secondo mandato presidenziale di Abdel Fattah al-Sisi invadono le strade del Cairo, diversi giovani che hanno partecipato alla rivolta del 2011 dicono oggi che boicotteranno le elezioni “predeterminate” di questo mese.

“Rispetto alle ultime elezioni presidenziali (svolte nel 2014) è uno scivolone verso il basso: nulla sta migliorando”, ha detto Sami, un giovane che ha preso parte alla rivolta nota come “Primavera araba” che nel gennaio dell’2011 ha portato alla destituzione del regime dell’ex presidente Hosni Mubarak.

Poi nel luglio 2013, Al Sisi, da ministro della Difesa, ha guidato l’operazione che ha portato alla destituzione del successore di Mubarak, l’islamista Mohamed Morsi, spodestato in seguito a proteste di massa contro il suo governo durato appena un anno.

Ora, al Sisi sta cercando un altro mandato nelle elezioni del 26-28 marzo; a sfidarlo formalmente è solo Moussa Mostafa Moussa, un candidato che in precedenza aveva espresso sostegno per la leadership di al Sisi. Tutte gli altri candidati sono stati arrestati o si sono ritirati.

“Si tratta di una partecipazione nominale: non potevano presentare un unico candidato senza uno sfidante, quindi hanno portato qualcuno solo come spettacolo, così da poter dire che c’è competizione”, ha detto Sarah. Come Sami e tutti gli altri intervistati, Sarah ha chiesto di essere identificata con uno pseudonimo. “Non farò alcuno sforzo per una elezione già predeterminata”, ha aggiunto.

LE SPERANZE SFUMATE DEL 2011 La situazione è lontana dalle grandi speranze di Sarah nel 2011, quando si unì alle proteste “entusiasta di avere elezioni libere ed eque, di votare in elezioni competitive dove la mia voce avrebbe fatto la differenza”.

Nel 2011, in aperta sfida alle forze di sicurezza dell’ex regime, milioni di giovani egiziani occuparono per 18 giorni la centralissima piazza Tahrir della capitale. Giovani che si accamparono giorno e notte fino a quando Mubarak, che era al potere da quasi 30 anni, non lasciò il suo ufficio prima che i militari prenderessero di fatto il potere.

Poco dopo, i maggiori funzionari dell’era di Mubarak vennero arrestati e i tribunali iniziarono ad esaminare casi di brutalità della polizia. “E’ stato un incredibile momento di speranza, il cielo di colpo era diventato il nostro tetto”, rievoca Sami.

Dopo un anno di potere militare, Morsi, che proveniva dal gruppo dei Fratelli Musulmani, è diventato il primo presidente civile egiziano democraticamente eletto nel 2012. Un anno dopo, gli egiziani preoccupati per l’ascesa dell’Islam politico all’interno del governo hanno sostenuto la cacciata di Morsi, sperando in ulteriori elezioni democratiche.

“Ma con quello che è successo dopo, con la nomina di un’altra persona dell’esercito, è diventato molto chiaro che siamo tornati allo stesso ciclo”, ha detto Sami.

Durante gli anni di turbolenze che seguirono, molti giovani che chiedevano libertà abbandonarono questa richiesta a favore della stabilità economica e della sicurezza. La gente “era arrabbiata, ma ha optato per la calma”, dice il giovane. “Ora, il risultato è zero: economicamente, tutti sono sotto pressione, non importa il tuo livello di reddito, tutti i tuoi risparmi e il reddito sono stati tagliati a metà”.

Con le sue riserve valutarie in ribasso dopo la rivolta, l’Egitto ha fatto fluttuare la sterlina nel 2016, facendo sì che la valuta perdesse più della metà del suo valore rispetto al dollaro.

“PEGGIO DI PRIMA” Nel frattempo, “socialmente sei frustrato: ti senti incapace di muoverti o di parlare facilmente, tanta paranoia, troppa sicurezza isterica, al punto che il paese è tornato a essere gestito da una singola entità”, evidenzia Sami.

I critici dicono che le cose si sono deteriorate rispetto ai tempi di Mubarak. “Non c’è dubbio che le cose ora vanno molto peggio di prima, perché ora sanno che non possono prenderci alla leggera”, ha detto Safeya secondo la quale “stanno arrestando, minacciando, imprigionando, condannando a morte, perché hanno paura che risorgiamo”.

Gruppi per i diritti nazionali e internazionali accusano le autorità di violazioni dei diritti umani, incluse sparizioni forzate, arresti arbitrari e detenzioni illegali. Il governo nega le accuse e afferma che gli abusi sono casi rari e vengono regolarmente puniti.

Tuttavia, per Sami, le prossime elezioni hanno poco significato. “Non mi prenderò nemmeno la briga di pensarci,” ha detto prima di aggiungere: “Voglio solo che il giorno passi con calma”.

Guardando indietro alla rivolta del 2011, Sarah afferma: “Non potrei dire che vorrei che non fosse successo, perché è stata la cosa migliore che è accaduta in Egitto durante il mio tempo”. Oggi Sarah vuole uscire dal suo Paese: “Certo che voglio andarmene, cerco dappertutto lavoro, anche in paesi che non avevo mai pensato di prendere in considerazione. Ho perso completamente la speranza qui”.

(Fonte Afp)