Rapporto annuale Amnesty: troppo odio, rischio che discrimazioni diventino normalità

Almeno 312 attivisti uccisi nel 2017, 262 giornalisti imprigionati

FEB 22, 2018 -

Roma, 22 feb. (askanews) – “Il tema dell’odio è dominante in molti Paesi”: è quanto ha detto il presidente di Amnesty, Antonio Marchesi, presentando a Roma il Rapporto 2017-2018 dell’organizzazione, che riguarda 159 Paesi. “Il discorso di odio avvelena oggi la vita pubblica, la convivenza civile in parecchi Paesi, fino ad arrivare al vero e proprio crimine di odio nei confronti di persone appartenenti a determinate categorie, perlopù vulnerabili, strumentalmente presentate come un problema e una minaccia da eliminare”.

Per Marchesi, si tratta di una retorica e di politiche che stanno dando frutti al punto che esiste “un rischio concreto di arrivare a una sorta di normalizzazione delle discriminazioni massicce nei confronti di gruppi di persone minoritari ed emarginati”. Anche perchè sta anche crescendo “l’ostilità di molti governi verso chi si schiera a favore di queste persone e verso le organizzazioni delle società civile che le difendono, come nel caso della recente legge approvata in Ungheria contro le ong”.

E non è un caso che il rapporto annuale di Amnesty venga presentato oggi a Washington, e non come al solito a Londra, perchè “il via lo ha dato in qualche modo il presidente Donald Trump, approvando all’inizio del 2017 il Muslim ban, volto a impedire l’arrivo negli Stati Uniti dei cittadini di determinati Paesi a maggioranza musulmana”. “Lanciando il rapporto annuale a Washington, Amnesty vuole sottolineare come l’arretramento della presidenza Trump sui diritti umani stia stabilendo un precedente molto pericoloso anche per altri governi – ha sottolineato Marchesi – sdoganando atteggiamenti e pratiche fino a qualche tempo ritenute impensabili”.

Nel rapporto si denuncia quindi la tendenza dei leader politici a promuovere le fake news per manipolare l’opinione pubblica e gli attacchi a organismi di controllo sull’esercizio dei loro poteri, tanto da far prevedere che “quest’anno la libertà di espressione sarà un terreno di battaglia per i diritti umani”.

Marchesi ha precisato che sono stati “almeno 312 gli attivisti per i diritti umani uccisi nel 2017, soprattutto in America Latina, e 262 i giornalisti messi in prigione per motivi legati allo svolgimento del loro lavoro” e “le più grandi carceri per i giornalisti sono stati Turchia, Egitto e Cina”. In Messico 11 giornalisti sono stati assassinati.

Amnesty ha evidenziato ancora come “per milioni di persone nel mondo sia sempre più difficile accedere a beni e servizi fondamentali come alloggio, cibo e cure mediche” e in molti Paesi, “dal Venezuela all’Iran, si sta assistendo a un’impressionante diffusione di malcontento sociale”.

Complessivamente il rapporto Amnesty offre uno “scenario mondiale cupo”, ma anche qualche “piccolo segnale di speranza che arriva dalla società civile”, con “la crescita di un movimento di vecchi e nuovi attivisti impegnati in campagne per la libertà e la giustizia”. Attivisti che hanno ottenuto già alcune vittorie nel 2017, come l’eliminazione del divieto totale di aborto in Cile, i passi avanti verso il matrimonio egualitario a Taiwan e il blocco degli sgomberi forzati ad Abuja, capitale della Nigeria. E che hanno avuto forte risonanza sul web, come quelli #MeToo negli Stati Uniti e “Ni Una Menos” in America latina contro la violenze su donne e bambine.

Segnali che “fanno sperare che lo scivolamento verso l’oppressione possa essere quanto meno rallentata”, ha concluso Marchesi.