Il presidente sudcoreano Moon tra dialogo e scontro con Kim Jong Un

Il leader di Seoul tiene la porta aperta, ma parla di rafforzamento dei militari

AGO 10, 2017 -

Roma, 10 ago. (askanews) – Moon Jae-in, nuovo presidente della Corea del Sud, si è caratterizzato in questi mesi di campagna elettorale e di mandato come la “colomba”, l’uomo che tenta di trovare una via pacifica alla soluzione della crisi nordcoreana. Ma anche le colombe devono fare i conti con la stagione di caccia. Così, mentre da un lato reitera la politica della “porta aperta” verso Pyongyang, dall’altro sta evocando la possibilità che la Seoul si doti di una capacità militare in grado di “contrastare le provocazioni nucleari e missilistiche” di Pyongyang.

“Abbiamo bisogno di una riforma della difesa che volti pagina, non solo piccoli miglioramenti”, ha detto il Moon parlando ai nuovi vertici militari sudcoreani, secondo quanto riporta oggi il JoongAng Ilbo. “La sfida urgente – ha aggiunto – è garantirci capacità per contrastare le provocazioni nucleari e missilistiche del Nord. Abbiamo bisogno di migliorare rapidamente il nostro approccio alla difesa”.

E’ un Moon apparentemente diverso da quello che abbiamo visto in campagna elettorale e nei primi periodi del mandato presidenziale: quello delle aperture a Kim Jong Un, quello delle proposte di dialogo, quello che avrebbe voluto rinverdire la stagione della “Sunshine Policy” di Kim Dae-jung, il presidente premio Nobel per la Pace che fece lo storico vertice con Kim Jong Il.

Tuttavia Moon non ha abbandonato la linea del dialogo. Nel gran rumore delle dichiarazioni roboanti tra Trump e la Corea del Nord, con il presidente Usa che minaccia “fuoco e furia” contro Kim e Pyongyang che annuncia un piano per lanciare missili contro le basi Usa dell’isola di Guam, nel Pacifico, l’uomo di Seoul sa bene che, quando la polvere si sarà posata, avrà un ruolo fondamentale in un eventuale tentativo di risolvere la crisi in maniera pacifica.

“Il nostro governo, che è parte direttamente coinvolta nelle questioni della Penisola coreana, terrà aperta una porta al dialogo e attivamente perseguirà sforzi diplomatici per alleviare l’attuale tensione e risolverla alla base”, ha detto il portavoce della Casa blu – sede della presidenza sudcoreana – Park Soo-hyun dopo una riunione dell’Ufficio di sicurezza nazionale tenuta ieri.

Il messaggio, in verità, sembra diretto più a Trump che a Kim. L’accento posto sul fatto che la Corea del Sud è “direttamente coinvolta” nelle questioni coreane sembra voler dire all’alleato della Casa bianca che Seoul vuole essere inclusa nelle decisioni. L’approccio di Trump di uno scontro diretto con Kim, senza troppo tener conto degli alleati regionali, pare mettere in secondo piano Seoul, nonostante il fatto che, in caso di conflitto, la Corea del Sud rischi di pagare il prezzo più alto in termini di perdita di vite umane.

Il problema è quanto margine di manovra ci sia per chi vuole esplorare un possibile dialogo con Pyongyang: Moon, la Cina, lo stesso segretario di Stato Usa Rex Tillerson. Dal punto di vista di Kim Jong Un, secondo molti osservatori, la strategia potrebbe essere quella di mettere sotto stress l’alleanza Usa-Corea del Sud. L’arrivo di un presidente aperto anche al dialogo diretto e con altri attori – la Cina, la Russia – e dall’atteggiamento così lontano da Trump offre un’opportunità in questo senso. Questo fa capire perché, al momento, gli approcci dei Moon siano andati a vuoto: tirando la corda Kim fa emergere la diversità d’interessi tra Seoul e Washington.

In realtà, però, lo stesso Kim un elemento su cui discutere l’ha fornito. Come ha notato qualche giorno fa l’autorevole sito 38 North dello US-Korea Institute presso la Johns Hopkins University, Kim a inizio luglio ha detto che la “Repubblica popolare democratica di Corea non metterà sul tavolo negoziale il suo nucleare e i suoi missili balistici in alcun caso, non deflettendo neanche un pollice dalla strada del rafforzamento delle forze nucleari. A meno che la politica ostile e la minaccia nucleare nei confronti della Repubblica popolare democratica di Corea non venga definitivamente terminata”. Una posizione, questa, ripetuta sostanzialmente alla lettera il 7 agosto al forum regionale dell’Asean a Manila dal ministro degli Esteri nordcoreano Ri Yong Ho. Non è un approccio nuovo da parte di Pyongyang: il padre dell’attuale leader, Kim Jong Il, chiedeva a Washington un formale trattato di pace.

Questo vuol dire che un margine di manovra, volendo, ci sarebbe. Oggi, tuttavia, sembra che il percorso per arrivare a un tavolo sia ancora lungo e lo stesso Moon ne è consapevole e consolida la posizione sudcoreana preparando, accanto alla carota, anche il bastone. La scorsa settimana, racconta il JoongAng Ilbo, Moon ha visitato il comando militare di una base navale, dove sono ospitati sottomarini. Lì ha chiesto al comandante ragguagli su cosa vorrebbe dire, per la marina sudcoreana, dotarsi di un sottomarini nucleari. Si è sentito rispondere che questi fornirebbero una superiorità strategica sui sottomarini nordocreani. “Questo – ha commentato – è il sogno per la nostra Marina”.