Migranti, ambasciatore Italia:Sudan sotto stress a confine libico

Dall'Italia collaborazione nella formazione della polizia sudanese

MAG 9, 2017 -

Roma, 9 mag. (askanews) – “Il Sudan è molto impegnato nella lotta all’estremismo violento e ai finanziamenti illeciti al terrorismo” ed è “sotto stress alla frontiera libica” a causa dell’assenza di una controparte con cui garantire la sicurezza del confine e monitorare i flussi migratori. Come Italia, ha detto ad askanews l’ambasciatore italiano a Khartoum, Fabrizio Lobasso, “stiamo aiutando, con l’Organizzazione internazionale per la migrazione (Oim), a formare la polizia di frontiera”, perché il Sudan è un paese di origine ma soprattutto di transito dei migranti del Corno d’Africa che sognano di raggiungere l’Europa partendo dalle coste libiche o dall’Egitto.

“La parte critica, che vede sotto stress il Sudan, è la frontiera libica, dove c’è massima porosità territoriale – ha riconosciuto il diplomatico italiano, in questi giorni a Roma per partecipare alla “Sudan Country Presentation” organizzata nella sede di Confindustria – a fronte, poi, della mancanza di controllo da parte delle istituzioni locali libiche, i sudanesi sono costretti a raddoppiare, triplicare gli sforzi perché non hanno una controparte con cui operare in maniera congiunta”. Nella sua visita a Roma, lo scorso novembre, il ministro degli Esteri sudanese Ibrahim Ghandour aveva infatti denunciato le difficoltà del governo a sostenere lo sforzo economico di un controllo 24 ore al giorno della frontiera libica, chiedendo alla comunità internazionale, e in particolare all’Unione europea, aiuti finanziari e tecnici, ma soprattutto sostegno per la revoca delle sanzioni Usa e per la cancellazione del debito.

Il Paese africano è “molto impegnato nella lotta all’estremismo violento, a evitare la possibile formazione e uscita dal Paese di foreign fighter, anche di passaggio, e sta lavorando bene sul controllo dei finanziamenti illeciti al terrorismo”, ha riconosciuto Lobasso, e “noi stiamo aiutando con l’Oim nel paese”, mentre l’Unione europea ha annunciato milioni di euro di aiuti, attraverso il Fondo per l’Africa varato alla Valletta nel novembre 2015, per progetti volti a migliorare le condizioni di vita di sfollati, migranti e comunità ospitanti presenti in Sudan.

A fronte delle obiezioni mosse da attivisti per i diritti umani verso la collaborazione dell’Italia e dell’Ue con il governo di Khartoum, guidato dal 1989 dal presidente Omar al Bashir, accusato dalla Corte penale internazionale dell’Aia (Cpi) di crimini contro l’umanità e genocidio commessi nella regione occidentale del Darfur, Lobasso ha tenuto a rimarcare, innanzitutto, che “non c’è aiuto diretto al governo sudanese”. Quindi ha precisato: “Si cercano strade fattive che in qualche modo aiutino a creare in Sudan una società civile, una resilienza comunitaria, una sopportazione dei disequilibri portati dall’immigrazione irregolare, in modo da garantire stabilità al secondo Paese più grande del continente africano, dove solo la regione del Darfur è grande quanto la Francia, in un’area afflitta da tante crisi (Somalia, Sud Sudan, Centrafrica, Libia), dove se mancasse la stabilità si potrebbero creare un caos e un disastro peggiore di quello in Siria”.

Anche il memorandum di intesa firmato lo scorso agosto dal capo della polizia italiano, Franco Gabrielli, con il suo omologo sudanese Hashim Osman al Hussein, è un accordo “estremamente tecnico, che garantisce maggiore collaborazione”, ha precisato il diplomatico. “Non ci sono state spese per consegne tipo ‘in kind’, l’accordo è fondato su training, scambio di informazioni, di database di collaborazione di intelligence per bloccare la criminalità organizzata nel Corno d’Africa, e per migliorare le capacità della polizia di frontiera sudanese quando è chiamata a identificare i migranti irregolari. Tra i Sudanesi sono pochi quelli riconosciuti come tali dalle autorità italiane sino ad ora”.

“Italia e Ue non pensano a collaborare per sostenere il governo – ha concluso Lobasso – ma per offrire un sostegno alla popolazione, alla vitalità del Paese, al suo sviluppo socioeconomico non nascondendo le criticità che rimangono in Sudan, ma ricordandoci che ci sono tanti altri Sudan da aiutare”.