La vittoria di Vucic avvicina la Serbia all’Unione europea

Ma Belgrado rimane sul filo sottile tra Ue e Russia

APR 3, 2017 -

Roma, 3 apr. (askanews) – Una vittoria al primo turno che conferma la presa sul paese di Aleksandar Vucic, il quale trasloca dall’ufficio del primo ministro a quello del presidente. Ma anche una conferma, quella nel voto alle presidenziali in Serbia di ieri, della linea perseguita dal leader rispetto all’Unione europea: un avvicinamento con l’integrazione come obiettivo finale.

Il segnale è stato chiarissimo. L’ultranazionalista Vojislav Seselj, al quale Vucic in passato era politicamente legato, non è arrivato che al 5 per cento dei consensi. Lui, che brucia le bandiere dell’Ue in piazza, è parso ai serbi un’alternativa non credibile. Invece Vucic, col suo 55 per cento, può ora far valere la sua linea pro-europea, ma con prudenza, tenendo conto dei forti legami politici e culturali che comunque Belgrado mantiene con la Russia e della questione sempre aperta del Kosovo.

Premier dal 2014, Vucic a questo punto ha tre anni di tempo. La prossima scadenza elettorale importante, le politiche, è prevista per il 2020 e, fino ad allora, ha sostanzialmente un mano libera. Non c’è da attendersi che la sua presidenza sia come quella di Tomislav Nikolic, simbolica. “Vucic si è presentato come il candidato che ha in testa i negoziati d’adesione all’Ue, i quali prevedono un cambiamento della Costituzione e nuove prerogative per il presidente”, spiega la politologa Jadranka Jelinic.

Il prossimo governo sarà diretto da un primo ministro di fiducia di Vucic, che sarà sostanzialmente la sua ombra. Le fila le tirerà lui, in particolare sulle cruciali decisioni di collocazione strategica della Serbia, un paese diviso tra la sua appartenenza al mondo slavo-russo, la sua collocazione centro-europea e una visione del futuro che prende atto del fatto di essere una tappa della Nuova Via della Seta che la Cina sta promuovendo.

E’ un filo sottile e Vucic ne è consapevole. Nel discorso di trionfo il presidente eletto ha promesso “il proseguimento delle riforme, del cammino europeo, pur proteggendo i nostri legami con la Russia e con la Cina”. Boban Stojanovic la spiega così: “Per fare un buon risultato elettorale in Serbia dovete essere vicini alla Russia e vicini all’Europa”. E questo comporta rischi, ma anche enormi possibilità.

E, così, in un momento in cui l’Unione europea sembra squassata dalle spinte centrifughe, come ha dimostrato la Brexit, diventa abbastanza plausibile che, entro la fine del mandato del neopresidente serbo, i Ventotto non faranno in tempo a diventare Ventisette, perché Belgrado potrebbe andare a “sostituire” Londra. Certo, non con lo stesso peso politico.

D’altro canto, anche Mosca si è affrettata a congratularsi. Il Creemlino s’è detto convinto che la Serbia continuerà “ad avere una politica estera costruttiva ed equilibrata”.

Il processo di avvicinamento all’Ue mantiene tuttavia un’incognita importante. Il Kosovo, che ha proclamato unilateralmente l’indipendenza nel 2009, continua a essere il macigno più grande. La Serbia non riconosce l’indipendenza Pristina, come d’altronde non fanno cinque paesi dell’Ue. Ma Vucic è stato protagonista dell’accordo del 2013 che ha normalizzato le relazioni, un passaggio importante, anche se – secondo Stojanovic – “Vucic non riconoscerà mai il Kosovo”. (Con fonte Afp)