Verso sostegno unanime dei 27 alla Dichiarazione di Roma

Tsipras: tutelare contrattazione collettiva; risposta di Juncker

MAR 24, 2017 -

Roma, 24 mar. (askanews) – Nessun capo di Stato o di governo dei Ventisette dovrebbe far mancare la sua firma, alla cerimonia del 60esimo anniversario del Trattato di Roma, domani mattina in Campidoglio, in calce alla dichiarazione sul “futuro comune europeo”; un testo di due pagine scarse (66 righe) che è stato pazientemente negoziato nelle scorse settimane proprio per garantire che, nonostante gli attriti, le divisioni interne e le spinte centrifughe, tutti i leader possano sottoscriverlo.

Grecia e Polonia, che fino a ieri avevano lasciato planare il dubbio di un possibile, clamoroso dissenso, oggi hanno chiarito entrambe che non intendono arrivare alla rottura. La premier polacca, Beata Szydlo, si è detta pronta a firmare, anche se avrebbe voluto un testo “più ambizioso”, che nel suo caso non è chiaro che cosa significhi. Il primo ministro di Atene, Alexis Tsipras, ha chiarito in una lettera agli altri leader che avrebbe voluto da parte dell’Ue una difesa dei diritti sociali in Grecia (e soprattutto della contrattazione collettiva) che negli ultimi sette anni non c’è stata, travolta dai programmi d’austerità e dalle esigenze dei creditori.

Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, gli ha risposto ricordando che già in passato, a maggio 2015, aveva dichiarato il suo “sostegno per un giusto ed efficace sistema di contrattazione collettiva” in Grecia, e affermando che gli accordi con i creditori per il programma di salvataggio finanziario di Atene dovranno essere conclusi “nel rispetto dell”acquis’ europeo sui diritti sociali, di cui noi – la Commissione, ndr ) siamo i guardiani”.

Quella che sarà firmata domani è una dichiarazione solenne per mandare agli europei e al mondo il messaggio che l’Ue, dopo l’uscita dei britannici, resta comunque unita, e unita guarda ai prossimi dieci anni. Con l’ambizione di affrontare e vincere le sfide del mondo globalizzato, difendendo il proprio modello (l’economia sociale di mercato) e i propri valori e principi, mentre i populismi e i nazionalismi montanti vorrebbero negarli; ma tutelando anche le sue frontiere esterne e gestendo meglio i flussi migratori; ripristinando la crescita economica e la prosperità delle sue nazioni e lottando contro la disoccupazione; restando aperta agli scambi internazionali e continuando a propugnare la risoluzione pacifica dei conflitti, il multilateralismo, proprio mentre altrove prevalgono tentazioni protezionistiche.

L’ultima bozza, che non dovrebbe più essere modificata, contiene solo tre piccole modifiche formali rispetto al testo del 20 marzo, che aveva inserito molti cambiamenti per rispondere alla forte avversione della Polonia e degli altri paesi dell’Est al concetto di “Europa a più velocità”; che ormai non appare più in quanto tale, come nuova via da seguire, ma è stato ridotto a un richiamo alla formula delle “cooperazioni rafforzate”, già presente nel Trattato Ue e rispondente a realtà già operanti nella pratica.

Alla fine, su questo punto il testo è stato modificato così: “Agiremo insieme, muovendoci nella stessa direzione, con un ritmo (o ‘passo’, ndr) e un’intensità diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato, in linea con i Trattati Ue e lasciando la porta aperta per quelli che vorranno aggiungersi più tardi. La nostra Unione – si sottolinea per fugare i timori dei paesi dell’Est – è indivisa e indivisibile”.

Sempre nella versione del 20 marzo, confermata ieri sera, è stata aggiunta nel capitolo sull’Europa sociale – anche per rispondere alle preoccupazioni greche – una parola fondamentale che mancava prima: “disoccupazione”.

L’Unione “combatte la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà”, si legge nel testo. C’è, inoltre, il richiamo al ruolo dell’Unione nel “creare crescita e lavoro”, e nel promuovere “il progresso economico e sociale, così come la coesione e la convergenza” fra le economie degli Stati membri, “mantenendo l’integrità del mercato interno e tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo chiave dei partner sociali”. E c’è un riferimento ai giovani, che devono “ricevere la migliore educazione e formazione” e poter “studiare e trovare lavoro in tutto il Continente”.

La dichiarazione cita, “en passant” anche energia, ambiente e clima, propugnando “un’Unione in cui l’energia è sicura e a buon mercato e l’ambiente pulito e sicuro”, e che “promuove una politica climatica positiva”. E non manca un riferimento all’Unione del mercato digitale (“un Mercato Unico forte, connesso” che si sviluppa “aderendo alle trasformazioni tecnologiche”).

La Commissione è riuscita a inserire anche il mantra del suo presidente, Jean-Claude Juncker, che continua a propugnare una Unione “grande sulle grandi questioni e piccola su quelle piccole”, secondo una interpretazione del principio di sussidiarietà che potrebbe portare alla rinazionalizzazione di alcune politiche comuni (come voleva il Regno Unito e come vorrebbero i paesi dell’Est, e anche certe lobby industriali, in particolare per quanto riguarda l’ambiente).

Nel capitolo sulla politica estera, oltre all’impegno a rafforzare la sicurezza e difesa comune e la stabilità del vicinato, “in cooperazione e complementarietà con la Nato” c’è un richiamo al ruolo mondiale dell’Ue, “impegnata nelle Nazioni Unite” e nella difesa di “un sistema multilaterale basato sulle regole” che promuova un “libero commercio” che sia anche “giusto”.

Sull’immigrazione, infine, la Commissione, la Germania e l’Italia si sono opposte all’inserimento dell’obiettivo di “arginare il flusso dei migranti” che avrebbero voluto i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia). L’obiettivo sarà, invece, “una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, che rispetti le norme internazionali”, e quindi anche gli obblighi di accoglienza dei rifugiati. Resta, comunque, l’impegno per “frontiere esterne rese sicure”, in un’Unione in cui “tutti i cittadini si sentono sicuri e possono muoversi liberamente”.

Intanto, le elezioni olandesi potrebbero aver invertito, o almeno fermato, la tendenza all’aumento dei consensi al populismo anti europeo, oltre che nazionalista, xenofobo e antimondialista. Lo fanno sperare anche i sondaggi in Francia, dove sembra segnare il passo l’ascesa della popolarità di Marine LePen in vista delle presidenziali; mentre in Germania sorprende l’avanzata di Martin Schulz, ex presidente del Parlamento europeo e sfidante socialdemocratico della cancelliera Angela Merkel. Per una volta, in questo caso, l’establishment ha di fronte non un populista, ma un sicuro europeista, che potrebbe finalmente smuovere la Germania, incapace di capire i danni provocati all’Europa dall’austerità che ha imposto con la sua leadership ottusa.

Quella di Roma potrebbe essere solo la celebrazione di un evento irripetibile, da parte dei tristi epigoni dei leader visionari di allora; ma potrebbe essere anche, davvero, un’occasione per riflettere su tutto quello che rischiamo di perdere, se l’Europa comunitaria non riuscirà a uscire dalla sua crisi esistenziale, a recuperare la legittimità perduta nelle opinioni pubbliche, a ritrovare le ragioni vere per riprendere con forza, convinzione, generosità, il cammino cominciato insieme nel 1957.