Diplomazie al lavoro per il summit tra Trump e Xi

Nordcorea e Taiwan i dossier più delicato sul tavolo

MAR 15, 2017 -

New York, 15 mar. (askanews) – Fervono i preparativi di quello che si preannuncia come l’incontro internazionale più significativo, e al contempo complesso e delicato, di questi primi mesi di presidenza Trump. Il mese prossimo il 45esimo Commander in Chief incontrerà negli Stati Uniti il presidente cinese Xi Jinping in un momento in cui le tensioni tra le due superpotenze mondiali sono a un livello a cui non si assisteva forse dai tempi dell’amministrazione Reagan.

La scelta, non casuale, delle sede per il primo confronto tra i due leader è ricaduta sul resort privato di Donald Trump a Palm Beach, in Florida, dove il presidente ama spesso passare i suoi weekend. Una scelta che sarebbe stata presa su suggerimento cinese, secondo indiscrezioni trapelate dalla Casa Bianca e riferite dal New York Times; il tentativo è quello di evitare le rigidità protocollari di una visita ufficiale alla Casa Bianca nella speranza di trovare un clima di maggior relax per il confronto tra Trump e Xi. Ma, soprattutto, si vuole così scampare alla necessità di concludere la visita con la sottoscrizione di un qualche accordo formale tra i due Paesi, visto che non sarebbe facilmente raggiungibile.

Il segretario americano di Stato, Rex Tillerson – oggi a Tokyo (Giappone), tra due giorni a Seoul (Corea del Sud) e il 18 marzo a Pechino (Cina) – incontrerà in via preliminare Xi e di concordare con lui i punti su cui dovrà concentrarsi il dialogo con Trump.

Un ruolo non facile, quello di Tillerson, stretto tra le due anime che dividono l’amministrazione sull’approccio da tenere con la potenza asiatica: da un lato una visione fortemente anti-cinese, che considera la Cina una minaccia economica e geopolitica per gli Stati Uniti, incarnata dai più radicali tra i consiglieri del presidente, tra cui Stephen Bannon e l’economista Peter Navarro (in tema commerciale); dall’altro lato l’approccio più cauto e pragmatico suggerito dal genero di Trump, Jared Kushner, marito di sua figlia Ivanka, che ha preso parte al Consiglio sulla sicurezza nazionale di lunedì 13 marzo e durante il quale si è discusso proprio di Corea del Nord e Cina. Il problema è che il giovane è al centro di un potenziale conflitto di interesse di non poco conto: per 400 milioni di dollari, la società immobiliare di famiglia sta per cedere una quota in un grattacielo a Manhattan, New York, al gruppo assicurativo cinese Anbang (lo stesso che ha preso il controllo del famoso Waldorf Astoria, l’albergo esclusivo amato dai diplomatici).

Tra i punti all’ordine del giorno nell’incontro tra il presidente Usa e quello cinese ci sarà sicuramente la Corea del Nord, che la settimana scorsa ha lanciato quattro missili balistici in direzione del Giappone sollevando le critiche internazionali. L’America ha risposto con il dispiegamento di uno scudo antimissili a terra in Corea del Sud. Entro l’anno prossimo, inoltre, gli Usa avranno pronti in loco una serie di droni capaci di attaccare – se necessario – con missili Stinger e Hellfire. A fare infuriare la Cina, già in allerta con queste mosse, potrebbe essere poi la vendita di armi da parte dell’amministrazione Trump a Taiwan, l’isola già al centro di acute tensioni poi rientrate con la promessa del presidente Usa di rispettare la politica di una sola Cina (quella che prevede come parte del suo territorio Taiwan, appunto). A questo si aggiungono le accuse (errate) di manipolazioni monetarie nei confronti di Pechino fatte da Trump e la minaccia di imporre dazi al 45% sulle importazioni negli Usa di merci provenienti dalla Cina.

Dal canto suo Xi si prepara ad affrontare il 19esimo congresso del Partito comunista cinese in autunno. Per questo di fronte al presidente americano non potrà mostrarsi troppo accondiscendente. E per questo è atteso che riproponga quanto Washington ha di fatto ignorato: la promessa di fare sospendere i test missilistici nordcoreani a patto che Usa e Corea del Sud sospendano le esercitazioni militari congiunte. Pyongyang sarà insomma la prova del nove per Washington. E un test notevole per Trump.