Morte di Kim Jong Nam: si dipana la trama di un intrigo internazionale

Usato il gas nervino, sempre più solida la pista che porta a Pyongyang

FEB 24, 2017 -

Roma, 24 feb. (askanews) – A uccidere Kim Jong Nam, il fratellastro del dittatore nordcoreano Kim Jong Un, è stata una minima quantità di gas nervino VX, una sostanza altamente neurotossica. E questa circostanza rafforza l’ipotesi d’indagine secondo la quale, la matrice dell’ormai certo assassinio sia spionistica e non di criminalità comune. I sospetti sono andati immediatamente alla stessa Corea del Nord e, a questo punto, a Kuala Lumpur i dubbi sembrano essere pochi.

Ci hanno messo 11 giorni i laboratori malaysiani ad analizzare i campioni e stabilire che, sul volto del cadavere di Kim Jong Nam, erano presenti tracce di gas nervino, una sostanza vietata dalla Convenzione internazionale contro le armi chimiche del 1997 e, quindi, vietata nel paese del Sudest asiatico. In un comunicato, riportato dal New Straits Times si precisa chiaramente che, dai tamponi, la sostanza è stata identificata come “O-etil-S-[2-(diisopropilammino)etil]metilfosfonotiolato”, ovvero il gas nervino VX.

E’ una sostanza sintetizzata negli anni ’50 e adottata militarmente nel decennio successivo. In passato è stato usato anche a scopi terroristici dalla setta giapponese Aum Shinri-kyo per uccidere una persona, presa a caso per strada a scopo di prova, prima che questo stesso gruppo mettesse in atto il folle attentato alla metropolitana di Tokyo del 1995 col gas sarin, un altro nervino. Secondo gli esperti basta una minima quantità di questa sostanza a uccidere un uomo.

La spiegazione, a questo punto, aggrava la posizione delle due giovani donne arrestate – assieme a un cittadino malaysiano fidanzato di una delle due e a un nordcoreano – come esecutrici materiali. Si tratta di un’indonesiana di nome Siti Aishah e di una ragazza con passaporto vietnamita intestato a Doan Thi Huong, le quali si sono difese sostenendo di essere state ingannate: credevano di prendere parte a una candid camera. A quanto hanno ricostruito gli inquirenti, le due ragazze hanno avvicinato Kim Jong Nam. Una delle due ha messo un fazzoletto sulla bocca dell’uomo, l’altra le ha spruzzato addosso qualcosa. Il VX, probabilmente, doveva essere contenuto sul fazzoletto, perché se spruzzato avrebbe contaminato probabilmente anche le ragazze. Poi – e questo deporrebbe a sfavore del fatto che fossero inconsapevoli – sarebbero andate a lavare le mani e sarebbero scappate. Resta comunque il dubbio su cosa sia stato spruzzato sul volto della vittima, tanto che

Jong Nam, invece, sentendosi male si è rivolto agli addetti all’aeroporto, che l’hanno soccorso e portato in ospedale, dove tuttavia non si è potuto far nulla per salvargli la vita.

La polizia è alla ricerca di sette altri cittadini nordcoreani. Quattro sarebbero ormai scappati. Tra i ricercati, anche un dipendente della compagnia di bandiera nordcoreana Air Koryo e un esponente dell’ambasciata nordcoreana a Kuala Lumpur. Questa sede diplomatica ha protestato in maniera particolarmente vivace contro la decisione delle autorità malaysiane di condurre esami autoptici accurati sul corpo. Ha chiesto, inoltre, la restituzione del cadavere – non ancora ufficialmente riconosciuto come quello di Kim Jong Nam – e ha accusato la Malaysia di non aver indagato in maniera professionale. Kuala Lumpur, dal canto suo, ha respinto al mittente le accuse e ha fatto capire che intende rivedere le relazioni diplomatiche con Pyongyang.

Kim Jong Nam era da tempo fuori dai giochi in Corea del Nord. Il primo figlio di Kim Jong Il, un tempo considerato in pole position per la successione, è caduto in rovina per una serie di circostanze, non ultimo il suo arresto nel 2001 mentre cercava di entrare illegalmente in Giappone. Allora si difese sostenendo che voleva portare la famiglia a Tokyo Disneyland. Fatto sta che fu messo in un angolo e continuò la sua vita tra Pechino e, soprattutto, Macao: la città-casinò cinese dove si doveva recare anche il 13 febbraio, quando è stato raggiunto dalla morte sotto le mentite spoglie di due giovani donne, una delle quali indossava una vistosa maglietta bianca con la scritta “LOL” (“Tante risate”).

Restano dubbi sulle reali motivazioni che avrebbero portato il regime di Pyongyang a far fuori un uomo la cui rilevanza ormai appariva abbastanza marginale. Anche se Jong Nam non risparmiò critiche al fratello minore, quando successe al padre deceduto nel 2012, il 45enne più volte aveva detto di non avere mire sul potere a Pyongyang. Alcuni analisti leggono, quindi, la sua uccisione nel quadro, più ampio, delle relazioni tra la Corea del Nord e il suo storico alleato, la Cina, sempre più irritato per i test nucleari e missilistici di Pyongyang. E legano all’assassinio la decisione di Pechino, venuta pochissimi giorni dopo – ma già in precedenza ventilata – di rendere più efficaci le sanzioni Onu contro il regime di Kim Jong Un, bloccando gli acquisti di carbone che sono una delle principali fonti di valuta pregiata per Pyongyang.