Dall’Eritrea sognando l’Europa: “Fuggiamo, qui non c’è futuro”

Reportage da Asmara: si guarda a chi ce la fa, non a chi muore

GEN 14, 2016 -

Asmara, 14 gen. (askanews) – In Eritrea “non c’è futuro”, per questo tanti giovani rischiano la vita per raggiungere l’Europa, perché qui “non c’è lavoro e quando si finisce di studiare non si trova un’occupazione in linea con la propria formazione e si viene chiamati a svolgere il servizio militare, che è pagato poco e non si sa quando finisce”. In questa situazione chi rimane “vede solo quelli che sono riusciti ad arrivare e che tornano in vacanza, non chi è morto” durante il viaggio verso l’Europa. Questa è la risposta che askanews ha raccolto tra giovani e anziani incontrati ad Asmara, che hanno accettato non senza qualche timore di parlare con una giornalista, chiedendo l’anonimato.

Negli ultimi anni, l’Eritrea è stato uno dei principali Paesi di origine dei migranti giunti nel Vecchio continente: nel 2014 le Nazioni Unite avevano riferito di circa 37.000 eritrei sbarcati in Europa, mentre nel 2015, con oltre un milione di persone giunte sulle coste europee, gli eritrei sono stati il quarto gruppo più numeroso, dopo siriani, afgani e iracheni. Tuttavia, le autorità di Asmara hanno più volte contestato il fatto che si tratti veramente di propri concittadini, affermando che sono molti gli africani del Corno d’Africa, in particolare gli etiopi, a fingersi eritrei per beneficiare del riconoscimento automatico dell’asilo politico concesso da diversi Stati europei ai profughi eritrei. Un automatismo giustificato con il servizio militare a tempo indefinito praticato in Eritrea, indicato come principale causa della fuga dei giovani ed equiparato dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani a persecuzione, trattamento degradante o lavoro forzato.

La legge eritrea prevede che le persone di età compresa tra i 18 e i 40 anni svolgano quattro mesi di addestramento militare e, se non si sceglie la carriera militare, altri 14 mesi di servizio civile nei settori dell’istruzione, dell’edilizia, dell’agricoltura e dell’amministrazione pubblica. Interpellati a riguardo, i ventenni incontrati ad Asmara hanno riferito di un servizio durato almeno tre anni, ma soprattutto hanno lamentato la paga corrisposta dal governo, pari a 500 nafka (27 euro), considerata ridicola rispetto al costo della vita.

Ad Asmara l’affitto minimo per una casa senza elettricità è di 1.500 nafka, a fronte di uno stipendio medio che oscilla tra 1.000 e 1.500 nafka. Si incontrano così giovani costretti a fare più lavori per sostenere le spese e per poter acquistare beni di prima necessità, come pane (3-5 nafka per un panino), farina (4.000 nafka al quintale), olio da cucina (450 nafka al litro). “Si lavora notte e giorno e lo stipendio alla fine basta solo per la mia famiglia – ha raccontato un trentenne sposato in attesa del primo figlio – non si riesce ad aiutare i propri familiari”. E c’è anche chi afferma, sconsolato, di aver già deciso di non sposarsi “perché non potrei sostenere le spese per moglie e figli”.

Asmara ha sempre giustificato la leva a tempo indeterminato con la situazione di “né guerra, né pace” in atto con l’Etiopia, dovuta alla mancata risoluzione del conflitto del 1998-2000, per il rifiuto di Addis Abeba di accettare la decisione della Commissione Onu sulla demarcazione dei confini. Tuttavia, a fronte del massiccio esodo di giovani dal Paese, nei mesi scorsi il governo eritreo ha ammesso l’esistenza di un “problema migrazione”, aderendo al processo di Khartoum, lanciato a Roma nell’autunno del 2014 dall’Europa insieme ai Paesi di origine e di transito lungo la rotta migratoria del Corno d’Africa, e promettendo in tale sede di ripristinare la legge sulla leva di 18 mesi. Secondo fonti diplomatiche, tale impegno potrà essere verificato nel luglio del 2016.

Anche gli anziani denunciano un futuro che non c’è in Eritrea, in assenza di lavoro e per l’obbligo del servizio nazionale. “Le persone benestanti che vedi ad Asmara sono quelle che possono contare sui soldi che arrivano dai parenti che vivono all’estero”, ha spiegato una vedova con sei figli, alcuni dei quali disoccupati e altri ancora in età scolare. “Ma io ho detto ai miei figli di non partire, ne morirei”, ha raccontato con accoramento, spiegando anche che tanti ventenni tentano la traversata verso l’Europa per emulazione: “I giovani vedono quelli che tornano per le vacanze, che hanno magari belle macchine, che costruiscono case nuove per i familiari rimasti qui, che aprono negozi, e allora non vedono più i rischi che il viaggio comporta. Sono ventenni, non pensano alla morte. Molti scappano all’insaputa della famiglia, altri sono invece spinti dalle stesse famiglie che sperano così di garantirsi una pensione”.

I giovani si tengono in contatto con gli amici partiti per l’Europa via Facebook, affollando i tanti centri internet presenti nella capitale, e raccontano di chi ce l’ha fatta, dopo un viaggio durato magari un anno, ma anche di chi è morto in mano ai trafficanti di uomini, perché la famiglia non aveva i soldi chiesti per la sua liberazione. Ad Asmara molti locali dove ci si ritrova a bere tè o “macchiato” hanno le televisioni sintonizzate su Bbc, Al Jazeera, Euronews, che raccontano dei pericoli del viaggio e delle difficoltà del continente europeo nel far fronte allo sbarco e alla successiva accoglienza di migliaia di persone. Ma “il popolo eritreo ha fame” e continuerà a guardare all’Occidente se la comunità internazionale non interviene per frenare tale esodo. “Il popolo eritreo veste pulito, ma ha fame”, è il commento di una donna, che rimarca come gli eritrei preferiscano consumare un pasto al giorno, “un panino e una banana”, piuttosto che perdere la propria dignità. Perché il popolo eritreo è un “popolo forte, fiero, che sopporta, chi non sopporta parte”. Gli eritrei sono “creativi, si ingegnano e oggi chiedono solo di lavorare”, ha aggiunto.

Su molte vetrine dei negozi di Asmara campeggia la scritta “development through resilience” (sviluppo attraverso la resilienza”), a ricordare il rifiuto opposto negli anni scorsi da Asmara agli aiuti internazionali, accusati di creare dipendenza, e la richiesta di un dialogo alla pari. Proprio tale politica spiegherebbe, secondo alcuni eritrei, l’ostilità della comunità occidentale verso il Paese del Corno d’Africa, in quanto “cattivo esempio per gli altri Paesi africani, che hanno sempre assecondato tutte le richieste dell’Occidente”. Invece, “l’Eritrea vuole cooperare, non ubbidire o accettare imposizioni”.

Di fatto, il moltiplicarsi degli incontri diplomatici avuti nei mesi scorsi dalle autorità eritree con i rappresentanti dell’Europa, il via libera a un piano di aiuti europei da 200 milioni di euro per contrastare la povertà e migliorare la governance, e la stessa presenza ad Asmara di giornalisti di diverse nazionalità, che negli ultimi mesi si sono avvicendati nel Paese, accendono barlumi di speranza negli occhi della popolazione. “Noi possiamo solo pregare perché qualcosa cambi”, ha confidato un ventenne.