In pandemia corsa a fare scorte di farmaci, ora vendite rallentano

Parla l'ad di Teva Italia Hubert Puech d'Alissac

GIU 22, 2020 -

Milano, 22 giu. (askanews) – Il farmaceutico è tra i pochi settori che durante il lockdown hanno registrato una crescita del proprio fatturato. Secondo una ricerca dell’Area studi di Mediobanca sugli effetti della pandemia sulle grandi multinazionali, a livello aggregato il fatturato è aumentato del 6,1% nel primo trimestre dell’anno. L’incremento potrebbe apparire una logica conseguenza dell’emergenza sanitaria che ci ha travolti, ma a ben guardare è più legata a irrazionali comportamenti d’acquisto, a partire dai consumatori. Per capire di che crescita si tratta, quanto durerà, abbiamo parlato con Hubert Puech d’Alissac, amministratore delegato di Teva Italia, multinazionale israeliana del settore farmaceutico e leader nel mondo per la produzione di farmaci equivalenti. Quello che è emerso è l’analisi di un trend tutt’altro che strutturale, che ha già iniziato a rallentare. “Noi abbiamo visto una crescita nei volumi, ma questo non è collegato tanto al Covid 19, è più collegato a una certa attitudine sia da parte di ospedali che di pazienti di fare scorta di medicinali – ci ha spiegato – Noi abbiamo pochi prodotti usati per i pazienti affetti dal Covid 19, abbiamo antibiotici, paracetamolo, antivirali ma l’uso è limitato per la patologia e in ogni caso i farmaci utilizzati per l’emergenza Covid in Europa non riguardano milioni di pazienti affetti dal nuovo Coronavirus. Quello che abbiamo registrato è che alla fine di aprile e soprattutto all’inizio di maggio c’è stata una decrescita dei volumi rispetto al trend dei mesi precedenti: questo vuol dire che è stato fatto uno stock, che, per esempio, i pazienti hanno acquistato un trattamento per tre mesi e non per un mese come fanno abitualmente”.

Dunque, secondo Puech d’Alissac, nei mesi di lockdown c’è stata una corsa a fare scorte di medicinali, rinunciando in molti casi anche ad andare dal medico di famiglia. “Parlando con dei medici – racconta ancora Hubert Puech d’Alissac – ho saputo che i loro studi sono vuoti e questo vuol dire che i pazienti hanno avuto paura di andare dai loro medici. Sul fronte del mercato privato, le statistiche ci dicono quello che abbiamo già visto dall’altro lato: una decrescita nelle ultime quattro settimane sia di prescrizioni sia di vendite. La gente non va in ospedale, ma ci arriva quando non ne può più fare a meno, aspettano l’ultimo minuto”. Nei prossimi mesi potrebbe registrarsi “una decrescita del mercato farmaceutico e una crescita nello stesso tempo di casi gravi (che non riguardano il Covid) in ospedale e dai medici – afferma l’ad di Teva Italia – Ovviamente questo è solo uno scenario, spero che non sia al 100% così. Spero che i pazienti siano ragionevoli, seguano i trattamenti, vadano dagli specialisti in ospedale seguendo tutte le norme di sicurezza previste, prima di arrivare a essere un ‘caso estremo’. Tutti gli ospedali ormai sono pronti, non c’è più la situazione di febbraio, sono passati più di tre mesi”.

E per Teva Italia come sono andati questi mesi di lockdown? “Per noi è difficile fare un confronto con l’anno scorso perché l’azienda oggi è diversa dall’azienda di 12 mesi fa, c’è stata una riorganizzazione a livello globale, ma con la crescita siamo nella parte alta della forchetta delle previsioni” ci spiega Hubert Puech d’Alissac che in Italia guida un gruppo con sei stabilimenti tutti collocati tra la Lombardia e il Piemonte e un totale di 1.200 dipendenti. “I nostri siti produttivi in Italia sono tutti localizzati nelle zone definite a rischio più elevato. In ogni caso abbiamo continuato con la produzione senza particolari fenomeni di assenteismo. Durante i primi giorni, tra fine febbraio e inizio marzo, abbiamo preparato un piano per gestire la situazione e valutare i rischi potenziali. Il tempo di mettere a punto il piano, sulla base delle direttive governative, regionali e di casa madre e trasferire questo messaggio, e siamo passati dal 20% circa di assenteismo dei primi giorni a valori nella media dopo una settimana: di questo sono orgoglioso perché le persone hanno capito il loro ruolo all’interno della pandemia”. “Hanno capito – prosegue l’ad – che è vero che non facciamo prodotti per il Covid 19, ma facciamo tutti gli altri medicinali di cui i pazienti hanno bisogno, hanno capito che non potevamo fermare la produzione. L’industria farmaceutica ha processi da seguire per tutto quello che fa, abbiamo controlli, audit e le persone hanno l’abitudine di lavorare con dei processi molto precisi sanno esattamente quello che devono e hanno bisogno di fare”. “Solo all’inizio -ha concluso – abbiamo avuto un piccolo problema di approvvigionamento in Europa con i Paesi che hanno chiuso la loro frontiera. Fortunatamente la commissione europea è intervenuta per far riaprire le frontiere. Ma questo è stato un problema che c’è stato solo nei primi 15 giorni della crisi”.