Macigno coronavirus su industria musica: persi 6 mesi di lavoro

Intervista a Claudio Ferrante, fondatore di Artist First

APR 3, 2020 -

Milano, 3 apr. (askanews) – In queste settimane di isolamento a casa ha fatto da colonna sonora a giornate piene di smartworking e nuove incombenze domestiche. Si è riscoperta in una dimensione collettiva, con le canzoni intonate dai balconi, ma anche più intima con gli artisti che, attraverso Instagram o Facebook, sono entrati nelle case dei fan. Ma dietro questo nuovo modo di vivere la musica, c’è un comparto in grossa difficoltà, con uscite bloccate, tour posticipati, eventi annullati. Per capire cosa sta succedendo abbiamo parlato con Claudio Ferrante, fondatore di Artist First e profondo conoscitore del settore.

“Il quadro della musica italiana è molto incerto, perché abbiamo anzitutto la mancanza di massa critica di nuove uscite e conseguentemente il monte di listening è calato”, ci ha detto durante la nostra chiacchierata Ferrante, che premette: “Bisogna anche dire una cosa: noi veniamo da un 2019 in cui avevamo una situazione in prospettiva florida: c’era un otto percento in più rispetto all’anno precedente come mercato. Ora, è chiaro che lo stato di salute della musica italiana è dato da più comparti che si parlano: musica registrata, Siae e diritti connessi, i live con i festival estivi, i concerti. Parliamo di un universo di settori che riesce a generare un indotto importante. Ecco, ad oggi, questo indotto è completamente senza liquidità: bisogna considerare che il Primo Maggio è stato annullato, a livello europeo l’Eurovision è stato annullato. I festival estivi ad oggi sono fermi e non abbiamo visibilità su quelle che saranno le norme di legge sulle riprese dei concerti e conseguentemente gli sponsor che finanziano i festival sono fermi. Le uscite discografiche sono ferme, gli store sono chiusi. Ci sono più di 4mila eventi che sono ricollocati nella stagione dall’autunno in poi: avremo un autunno affollatissimo e un 2021 ancora super affollato di eventi”.

Ma in queste settimane di lockdown gli italiani hanno continuato ad ascoltare musica attraverso varie piattaforme, ma non abbastanza. “L’unica attività che genera flussi è lo streaming – analizza Ferrante – Per quanto riguarda la nostra azienda, la Artist First, lo streaming è in crescita con i numeri. Se guardiamo però il valore globale del mercato sulle top 200 vediamo un monte streaming basso rispetto alla media e quindi in previsione, al di là del nostro dato che ci conforta, il tetto dello streaming globale è senza dubbio più basso rispetto alla media”. “Questo – osserva – in termini concreti porta a una prospettiva sul 2020 molto critica: io non voglio pensare che il coronavirus porti via con sé il talento e la creatività, ma nel momento in cui non c’è un indotto con liquidità come fa a vivere? Come fanno gli artisti medi e piccoli a sopravvivere?”.

Per Ferrante il governo dovrebbe ricorrere al “cosiddetto helicopter money sul settore della cultura”. “Qualunque cosa si pensi – ci ha detto – l’industria della creatività e della cultura necessita di un supporto importante in questo momento perché senza di essa – e non parlo delle case discografiche multinazionali, che sono comunque in difficoltà prospettica, ma parlo degli imprenditori italiani, degli editori italiani, dei freelance che hanno perso la loro stagione estiva – la musica avrà serie difficoltà: si calcola una perdita intorno ai 160 milioni di euro su tutto l’indotto, ma io direi che se tutto l’indotto ragiona anche in termini di tutta la manovalanza, i professionisti, perdiamo 6 mesi di lavoro”.

Se questo è il difficile stato dell’arte, non si può, però,non pensare al dopo, alla ripresa, che, da più parti, ci dicono dovrà essere graduale. “Sulla gradualità sono assolutamente d’accordo – avverte Ferrante – ma bisogna stare molto attenti sul concetto traumatico dello stare insieme. Io penso davvero che sia fondamentale lo stare insieme, andare a un concerto e vivere una esperienza incredibile ed energetica che arricchisce l’essere umano. Temo che questo virus ci porti nella prospettiva di avere paura di stare tutti quanti insieme in un solo posto, a meno di un metro di distanza. Bisognerà ripartire dall’aspetto psicologico dello stare insieme, dalla prossimità che fino a un mese e mezzo fa non consideravamo”. “Io non riesco a vedere un intrattenimento limitato, col freno tirato. Perché, se così accadesse noi avremmo sicuramente perso. Certo questa cosa non sarà possibile a breve termine, ma nel medio lungo sì – aggiunge – Mi spavento quando sento politici dire che dobbiamo ripensare al nostro modo di stare insieme perché per questo settore significa perdere il 70% del proprio potenziale”.

La ripresa, però, potrebbe concepire un nuovo modo di fare musica, magari ripartendo proprio dagli esperimenti social di queste settimane. “Questa virtuale unione sulle piattaforme online è l’unico modo che oggi ha la musica per continuare a far sentire la propria voce, il proprio conforto. E soprattutto continuare a vedere gli artisti che strimpellano una chitarra e dialogano con i propri fan. Questa sì potrebbe diventare una nuova frontiera – osserva – Spesso penso anche al fatto di poter riuscire a rendere i concerti in 3D o penso alle registrazioni che vagano su whatsapp sull’8D con l’ascolto della musica quasi sferica. Sono tutti dei tentativi che cercano di dare alla nostra dimensione domestica una dimensione di normalità”. “E’ fondamentale però un aspetto: probabilmente il mondo dell’intrattenimento è nella stessa barca del mondo dello sport. Sono due mondi che vanno in parallelo – sottolinea Ferrante – Anche la musica in alcuni suoi aspetti è sovradimensionata. Ora occorre ripartire da zero: prima c’era una ubriacatura di musica, ora senza musica vedendo gli artisti su instagram qualcosa ci dice che forse dovremmo ripartire da qui”.

Anche il mercato fisico, già in calo lo scorso anno, ha risentito pesantemente dell’emergenza coronavirus: secondo la Federazione industriale musicale italiana, nelle prime settimane di lockdown, c’è stato un calo del 60%. “Il fisico nel nostro Paese ha retto grazie agli store, al bonus cultura che dava 500 euro ai 18enni da spendere in libri, cd, vinili. La dimensione del supporto fisico è una dimensione che in casa può essere riscoperta – afferma Ferrante – ma per certo con i negozi chiusi il fisico risente molto del coronavirus. Io, però, sono convinto che il supporto fisico non morirà mai, diventerà di nicchia, forse, ma non c’è nulla di equiparabile con l’esperienza di ascolto di un vinile. Di sicuro, oggi, con i negozi chiusi, questa cosa darà una mazzata al fisico acquistato nel 2020”. Lo scorso anno a sostenere questo segmento era stato proprio il Bonus cultura che aveva generato ricavi per quasi 20 milioni. “Quello strumento – dice Ferrante – dovrà essere sicuramente ampliato, ma bisognerà trovare anche altre iniziative per supportare la comunità musicale nei mesi che seguiranno: dare alle imprese italiane un accesso a finanziamenti a fondo perduto è un elemento importante. Non è molto sentito da una parte dell’industria, che è quella delle major, ma noi produttori musicali chiediamo questi fondi al governo: noi lavoriamo con danaro nostro, quindi questo, mi si consenta, ha molto più valore”.