Mps:Bankitalia bacchetta Fondazione. Siena:prima Sindaco,poi soldi

Quando il Monte entrò a gamba tesa su Palazzo Koch

NOV 22, 2017 -

Roma, 22 nov. (askanews) – Nella crisi del Monte dei Paschi di Siena, “la Fondazione Mps ha giocato un ruolo significativo” volendo “mantenere una posizione di dominio quando non ce ne erano più le condizioni”. Lo ha detto davanti alle Commissione di inchiesta sulle banche, il responsabile della vigilanza di Bankityalia, Carmelo Barbagallo.

La bacchettata su Palazzo Sansedoni che “si indebita per non diluirsi” nel capitale della banca. Il risultato un circolo vizioso, “se l’azionista di maggioranza o di riferimento si indebita per non diluirsi, Mps deve fare di tutto per produrre redditi”, dunque distribuire dividendi, “in modo che l’azionista possa ricevere i soldi per pagare i debiti”, ha spiegato Barbagallo.

Non è un buttare la palla in tribuna, lo racconta la saga dell’aumento di capitale del luglio 2011.

Il Monte dei Paschi viene convocato in Bankitalia nell’autunno del 2009. La banca si apprestava a incassare 1,9 miliardi di aiuti di Stato (Tremonti bond) agognati fin dalla fine del 2008, cioè appena pochi mesi dopo l’aumento di capitale da 5 miliardi (+1 miliardo di Fresh e 2 di obbligazioni subordinate) per l’acquisto dell’Antonveneta.

Luigi Federico Signorini, allora numero uno di Palazzo Koch della Supervisione sui gruppi bancari, avverte il Presidente e il Dg della banca, ai tempi rispettivamente Giuseppe Mussari e Antonio Vigni: serve un aumento di capitale.

Il Monte, pur in regola dal punto di vista patrimoniale, grazie anche ai Tremonti-bond in arrivo, su poco più di 7 miliardi di patrimonio di base, ne aveva ben 4,8 di qualità secondaria. La regolamentazione prudenziale sulle banche, a livello internazionale, avrebbe richiesto sempre più patrimonio di qualità primaria. Il pour parler non affrontava ancora la dimensione dell’operazione ma segnalava come la banca avesse poco capitale azionario, quello maggiormente capace di assorbire le perdite.

Un anno dopo, verso la fine del 2010, sulla scia dei ripetuti richiami di Palazzo Koch, Mussari e Vigni tornano in Bankitalia: sul tavolo sempre la questione aumento di capitale. Se l’incontro del 2009 era cominciato con una appassionata prolusione di Mussari contro le nuove regole internazionali sul capitale bancario. Stavolta si va subito al sodo.

Il tandem di Siena propone una operazione da 2 miliardi, di cui 1,3-1,5 miliardi in azioni, però l’operazione andava annunciata dopo l’elezione del sindaco di Siena.

Bankitalia esplicita la sua contrarietà. I soldi sono pochi e i tempi, subordinati ora alle esigenze elettorali, troppo lunghi. Si rischia di finire nell’autunno del 2011 a ridosso dei nuovi stress test. Quelli dell’anno prima erano stati superati per il rotto della cuffia.

All’inizio del 2011, un nuovo incontro, questa volta decisivo. Mps accetta un aumento di poco superiore ai 3 miliardi di euro, di cui circa 2 miliardi in nuove azioni. La parte dell’operazione rappresentata dalle nuove azioni mantiene la Fondazione, che si indebita fino al collo, azionista di maggioranza. L’annuncio dell’aumento di capitale, si farà prima delle elezioni del sindaco di Siena.

Dell’annuncio al popolino se ne fa carico il candidato sindaco del Pd, Franco Ceccuzzi, con una breve intervista all’Unità. La campagna elettorale sarà al grido di “mai sotto il 51%”. Ma non servirà alle fortune della banca e, ancor meno a quelle delle Fondazione.

L’aumento del 2011 si rivelerà anch’esso un fuoco fatuo. Appena tre mesi dopo il raccolto, Mps fallisce gli stress test ed emerge un nuovo deficit di capitale di qualità primaria che sarà colmato con un secondo giro di aiuti di Stato: 1,5 di Monti bond, poi saliti a 1,9 miliardi.

Un circolo vizioso, uno stanco ripetersi degli eventi, dove sembra essere mancata una ragionevole valutazione del compromesso sostenibile tra la bramosia di controllo della Fondazione e la stabilità finanziaria della banca . Da non sottovalutare l’irresistibile fascino del quieto vivere.

Proprio in occasione dell’incontro del 2011, fu lo stesso Mussari, nel frattempo salito al vertice dell’Abi, a spiegare a Bankitalia che i 3 miliardi erano il massimo sforzo possibile negli attuali assetti di governante del Monte. Una operazione più grande si sarebbe tradotta nella cacciata dello stesso Mussari e di Vigni.