Il manifesto di Boeri, immigrati e donne per salvare il welfare

Critica i sindacati su salario minimo e blocco automatismi pensioni

LUG 4, 2017 -

Roma, 4 lug. (askanews) – La relazione annuale del presidente dell’Inps, Tito Boeri, più che una fotografia sul sistema previdenziale è una sorta di programma “politico” sul sistema di protezione sociale. Le cifre e le simulazioni illustrate dall’economista prestato alla presidenza dell’Inps mirano a riportare il dibattito e il confronto politico e sindacale sulla realtà e non sulla percezioni. E’ il caso dei voucher, ma soprattutto è la dirimente questione dell’immigrazione, il tema della partecipazione delle donne al mondo del lavoro, la frattura intergenerazionale che tende ad allargarsi.

Chiudere le frontiere significherebbe un salasso da 38 miliardi in 20 anni per il sistema di protezione sociale, e altri 41 miliardi nello stesso arco di tempo sarà il conto se il tasso di partecipazione delle donne rimarrà ai livelli attuali. Circa 80 miliardi, nelle ipotesi più ottimistiche, che metterebbero a serio rischio la sostenibilità del sistema.

Politica e sindacati invece spesso deformano la realtà, con slogan datati e letture fondate su luoghi comuni. Emblematica la parabola dei voucher. Un tema minimale in termini di grandezze economiche (un millesimo dei contributi) ma “assai rilevante e acceso di discussione pubblica”. Su 1,8 milioni di lavoratori che hanno riscosso i 130 milioni di voucher l’anno scorso, la media è un importo di 450 euro l’anno, e solo uno su dieci ha superato i 1.500.

Il presidente Inps non risparmia rilievi e critiche alla classe politica sul tema immigrati: “una classe dirigente all’altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno di un numero crescente di immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale”. Riconosce che il reddito di inserimento è un passo in avanti ma l’importo è troppo basso (“340 euro quanto la soglia di povertà assoluta è superiore ai 600 euro”).

Boeri, tuttavia, è all’indirizzo dei sindacati che usa i toni più aspri, sul confronto in corso ribattezzato fase 2 su pensioni e lavoro ma anche sugli effetti del jobs act: “Bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile agli andamenti demografici non è affatto una misura a favore dei giovani. Scarica sui nostri figli e sui figli dei nostri figli i costi di questo mancato adeguamento”. Bocciatura senza appello. Ma è anche sul dossier del salario minimo che il presidente dell’Inps rilancia. “Oggi, paradossalmente, i maggiori detrattori del salario minimo sono i sindacati. Temono che tolga spazio alla contrattazione collettiva. Al contrario copre quel crescente numero di lavoratori che oggi sfugge alle maglie della contrattazione collettiva”.

La distanza tra il presidente Inps con un pezzo del sindacato e parte della classe politica è evidente anche su un primo bilancio del jobs act. L’eliminazione dell’art. 18, dati alla mano, non è la causa della ripresa dei licenziamenti e soprattutto ha tolto il tappo che bloccava la crescita dimensionale delle imprese. Con il contratto a tutele crescenti le imprese sopra i 15 dipendenti sono salite da 8mila a 12mila. E imprese di maggiori dimensioni possono garantire più formazione, elemento cruciale per il sistema italiano che ha il “primato” nella percentuale di “lavoratori sbagliati al posto sbagliato. Abbiamo il più alto livello di mismatch fra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori”.

Il manifesto di Boeri tocca anche il sistema degli ammortizzatori sociali, alla luce della lunga crisi alle spalle e il presidente dell’Inps riconosce che la riforma del 2015 va nella giusta direzione. La cassa integrazione e i contratti di solidarietà sono strumenti per gestire crisi temporanee” ma “del tutto inadeguati ad affrontare crisi strutturali, perché incoraggiano i lavoratori a rimanere legati a imprese in cui non hanno un futuro e, di fatto, sussidiano aziende che, in molti casi, non sembrano in grado di reggere alle pressioni competitive”.

Ma la relazione di Boeri è soprattutto terreno di proposte per ridisegnare il welfare: salario minimo, fiscalizzare parte dei contributi previdenziali all’inizio delle carriere lavorative, introdurre un’assicurazione salariale e ripensare la struttura delle retribuzioni per orientare la mobilità dei lavoratori verso i posti con più elevata produttività e prospettiva di crescita. Un contributo al dibattito e al confronto ma è molto probabile che l’effetto sarà l’allungamento della lista degli avversari del presidente dell’Inps.