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Inps: nei primi nove mesi 2016 i licenziamenti disciplinari sono saliti del 28%

DIC 15, 2016 -

Roma, 16 nov. (askanews) – Dal 2014 ai primi nove mesi di quest’anno la probabilità di essere licenziati è calata. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Inps, lo scorso anno c’è stata una diminuzione consistente del rischio di licenziamento dal 7% al 6%. Una tendenza confermata anche per il 2016. Allo stesso tempo, il saldo positivo tra attivazioni e cessazioni di rapporti di lavoro nei primi nove mesi dell’anno (circa 480mila in più) ha fatto aumentare in valore assoluto, tuttavia in proporzione minore, i licenziamenti: +4% (pari a 448.544) rispetto al 2015, quando si era registrato un calo del 5% (pari a 430.894) sul 2014.

Uno dei dati più significativi è l’esplosione dei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo per i contratti di lavoro a tempo indeterminato (i licenziamenti disciplinari), cresciuti del 28% (pari a 53.636) tra gennaio e settembre contro il +3% (pari a 41.783) dello scorso anno. L’istituto di previdenza spiega questo fenomeno col fatto che le dimissioni online abbiano determinato una ricomposizione delle cause di cessazione (diminuzione delle dimissioni e crescita relativa dei licenziamenti) e che questa dinamica abbia coinvolto soprattutto i lavoratori stranieri, con particolare intensità etnie ad alta imprenditorialità come i cinesi.

Per i contratti di lavoro a tempo indeterminato la maggior parte dei licenziamenti riguarda le imprese fino a 15 dipendenti. Nel triennio 2014-2016 il loro numero è stabile: 285.855 nel 2014 (di cui 24.715 per motivi disciplinari), 284.781 nel 2015 (di cui 24.547 disciplinari) e 285.237 nel 2016 (di cui 30.771 disciplinari).

Nelle aziende con oltre 15 lavoratori c’è invece stata una maggiore oscillazione con un ridimensionamento lo scorso anno e un recupero quest’anno, seppure su livelli inferiori al 2014, con un aumento soprattutto dei licenziamenti disciplinari: 166.862 nel 2014 (di cui 15.871 disciplinari), 146.113 nel 2015 (di cui 17.236 disciplinari) e 163.307 nel 2016 (di cui 22.865 disciplinari).

Il cambiamento normativo che sembra aver avuto maggiori effetti sulla dinamica dei licenziamenti è, sottolinea l’Inps, l’introduzione delle dimissioni online. Questo ha portato a una riduzione delle dimissioni volontarie e un aumento dei licenziamenti disciplinari soprattutto tra i lavoratori stranieri.

L’indagine rileva poi che l’incidenza dei licenziamenti sul totale delle cessazioni è tra il 15% e il 20%. A partire dal 2009 e fino al 2014 i licenziamenti si aggirano attorno a 750-800mila l’anno. Il tasso di licenziamento per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze di imprese private è passata dal 5% pre-crisi al 7% (circa il 25% in più).

Quelli individuali costituiscono la stragrande maggioranza dei licenziamenti (circa l’80% del totale). Nella gran parte dei casi, le imprese, dopo il 2013, pagano il cosiddetto “ticket licenziamenti” introdotto dalla legge 92/2012. Le fattispecie esonerate, per esempio il settore delle costruzioni, sono consistenti.

I licenziamenti collettivi nel 2014 hanno toccato un livello molto elevato (oltre 130mila), dovuto alla rincorsa a catturare l’ultima opportunità di un lungo periodo di indennità di mobilità (dal 1 gennaio 2015 la durata dell’indennità di mobilità risulta fortemente ridotta in particolare per gli over 50).

La variabilità dei tassi di licenziamento, per settori e regioni, è altissima: nel 2014 si va da tassi di licenziamento attorno all’1-2% nell’industria manifatturiera con più di 15 dipendenti del Centro-Nord fino a valori-limite del 40% nel settore delle costruzioni al Sud. Nelle grandi regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna) il tasso medio di licenziati si colloca attorno al 5%, nelle regioni del Sud è sempre superiore al 10%. Il tasso di licenziamento per settore risulta ancor più polarizzato: in particolare si registra un livello molto alto per costruzioni (oltre il 20%) e alberghi-ristoranti. La variabilità territoriale rimane significativa anche all’interno dei medesimi settori e delle medesime classi dimensionali.

I licenziamenti spiegano circa il 40% delle interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (la quota rimanente è dovuta essenzialmente alle dimissioni): nella maggior parte dei casi sono determinati da processi di downsizing mentre ridotta è la frazione dovuta alla completa cessazione dell’impresa.

L’analisi svolta dall’Inps ha consentito anche di indagare quanto accade dopo il licenziamento. Si osserva che due terzi dei lavoratori licenziati accedono agli ammortizzatori sociali mentre il 20% si ricolloca entro brevissimo tempo. La quota restante (attorno al 10%) è formata, tra l’altro, da licenziati che non hanno i requisiti per accedere a un ammortizzatore. Inoltre, è rilevante la presenza di stranieri Red