Boeri chiede numero previdenza sociale Ue: più equità, meno abusi

Mentre si rafforzano confini Ue va rilanciata integrazione welfare

MAG 22, 2016 -

Roma, 22 mag. (askanews) – Oltre a rafforzare i suoi confini esterni, l’Europa deve intervenire al suo interno con un forte rilancio del coordinamento sulle prestazioni sociali e le normative sul lavoro. Ad esempio creando un nuovo numero di previdenza sociale europeo, un identificativo di sicurezza sociale (Essin) che ricalcherebbe quello specifico del Paese e si collegherebbe ai codici fiscali nazionali. Lo propone il presidente dell’Inps Tito Boeri, in un articolo su La Stampa.

Chiede interventi che riportino equità e sostenibilità al welfare europeo, rilanciandone l’integrazione, superando quell’atteggiamento di “inazione” con cui, secondo l’economista, stanno trovando terreno fertile i populismi, come quello di Hofner in Austria.

“Se l’Ue sopravviverà come zona di libera mobilità, avrà bisogno di un rafforzamento dei suoi confini esterni, associato a una più rigorosa applicazione dei principi di assicurazione sociale all’interno. La creazione di un più stretto collegamento tra i benefici erogati e i contributi passati per i lavoratori che si sono trasferiti da un Paese all’altro sarà essenziale – scrive Boeri – per l’integrità a lungo termine del mercato comune del lavoro”.

Questo tema non viene affrontato dal dibattito politico comunitario. Invece “è giunto il momento per l’Ue d’introdurre un unico codice di identificazione di sicurezza sociale che consenta di tenere traccia dei lavoratori mentre si spostano da un Paese all’altro e assicuri che le prestazioni assistenziali siano trasferibili tra le giurisdizioni nazionali.Tale misura non solo contribuirebbe a ribadire un’identità europea per quanto riguarda il lavoro e lo Stato sociale; aiuterebbe anche un dibattito più informato sulla migrazione e la crisi dei rifugiati”.

Il numero uno dell’Inps parla di “casi documentati di lavoratori che chiedono sussidi di disoccupazione in un Paese dell’Ue mentre lavorano in un altro. Inoltre vi è un serio rischio che alcuni vincoli contrattuali, come i limiti all’orario di lavoro, non siano applicati quando un lavoratore è distaccato altrove. L’unico modo per monitorare questi rischi e ridurre gli abusi è quello di sviluppare un archivio di previdenza sociale armonizzato che copra tutti i lavoratori entro le frontiere dell’Ue”.

“I governi nazionali dovrebbero adottare un numero di previdenza sociale europeo (simile al Social Security number negli Usa o al National Insurancenumber nel Regno Unito) e scambiarsi regolarmente informazioni. Questo numero identificativo di sicurezza sociale europeo (Essin) – spiega – ricalcherebbe quello specifico del Paese e conterrebbe un identificatore (magari le prime tre cifre) che indichi il primo Paese in cui è stato impiegato il lavoratore. Sarebbe anche collegato ai codici fiscali nazionali”.

“Un’unione monetaria che non può basarsi su un aggiustamento dei tassi di cambio o sui trasferimenti fiscali per ridurre gli squilibri del mercato del lavoro, richiede mobilità attraverso i confini nazionali. Ma per essere politicamente sostenibile la mobilità del lavoro deve essere adeguatamente governata. Nel contesto della crisi dei rifugiati, per esempio, la mobilità può venire facilmente percepita come una minaccia. L’Europa ha bisogno di un sistema in grado di monitorare la mobilità dei lavoratori che passano da uno Stato membro a un altro”.

“Affrontare questa lacuna – conclude Boeri – cambierebbe il discorso sulla politica e sulle politiche europee, non solo per quanto riguarda la sostenibilità e equità dello Stato sociale, ma anche per alcune delle questioni più controverse che attendono l’Ue, come il modo di gestire l’immigrazione economica e i flussi di rifugiati. Dell’inazione beneficiano solo Hofer e i suoi compagni populisti”.