Confindustria: a Torino la convention dei ‘piccoli’ tra crisi e rabbia

65 7, 1266 -

(askanews) – Torino, 11 apr – Le adesioni sono circa duemila, e l’obiettivo e’ quello di contarne alla fine almeno altre cinquecento o mille. Si sono dati appuntamento a Torino per la due giorni della Piccola industria, appuntamento biennale promosso da Confindustria, in programma domani e sabato all’Oval del Lingotto. Il cuore del manifatturiero, quello che sta pagando piu’ duramente il prezzo della crisi, per tre quarti concentrato nel centro nord, calera’ al Lingotto di Torino per ricordare innanzitutto che l’impasse politico ha ”provocato altre duemila chiusure”, da sommare alle quattromila dei primi due mesi dell’anno, come sottolinea Bruno di Stasio presidente di Piccola Industria a Torino. Manchera’ il confronto con il governo. Quando il convegno fu organizzato si era creduto che a Palazzo Chigi ci sarebbe stato un nuovo interlocutore a cui suonare il campanello dell’ultima chiamata. Ma non e’ andata cosi’: ”Bisticciano per le poltrone – dice Di Stasio – e intanto chiudono 70-80 imprese al giorno”. Sara’ una manifestazione se non gridata, sicuramente forte, che segue idealmente il fermento che si sta diffondendo in tutte le regioni del centro-nord. Una chiamata a raccolta del popolo dei piccoli, dei signori delle ‘boite’ come chiamano qui in Piemonte le aziende con pochi operai, da cui sta montando la rabbia per la mancanza di ”una politica industriale”, di una guida che non lasci le imprese isolate e inermi di fronte ai diktat europei della finanza. ”Abbiamo l’assoluta necessita’ di una politica industriale seria e lungimirante – dice Licia Mattioli presidente dell’ Unione Industriale di Torino – sia a livello europeo sia nazionale, in grado di tracciare e di dare una prospettiva alla nostra industria”. Base di confronto il ‘Manifesto per le imprese’ presentato recentemente dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che prevede 316 miliardi di investimenti in cinque anni e 2 milioni di posti di lavoro in piu’. Un piano, osserva Mattioli, che elenca un lungo rosario di dati economici negativi, significherebbe per la realta’ torinese un aumento annuale del Pil del 2,5-3% con ricadute importanti sull’export e sull’indotto. Ma anche la Tav, il cui stop costerebbe 1,5 miliardi. Mentre sui pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione: ”nel nostro ‘Manifesto’ abbiamo parlato di 48 miliardi – osserva di Stasio -, ne hanno concessi 40, vuol dire che a qualcosa stanno rispondendo”. Per dimostrare che le Pmi sono un tutt’uno con i loro dipendenti, che non si sta parlando di imprenditori con i capitali all’estero, era persino circolata l’ipotesi di portare anche le tute blu al Lingotto. Ma poi si e’ capito che si sarebbe potuto perdere il filo della manifestazione. ”L’impresa e’ stata munta fino a che e’ stato possibile – osserva di Stasio -. Ora non ha piu’ latte”. Un quarto delle imprese in tre regioni campione (Piemonte, Emilia e Puglia), secondo una ricerca che verra’ illustrata nel corso del Convegno, ha avuto una riduzione degli affidamenti del 27%. La meta’ delle aziende del panel, aggiunge di Stasio, sconta tassi compresi tra il 6 e l’11,50%. C’e’ una differenza anche di dieci punti tra aziende considerate viruose e no – rileva ancora di Stasio -. Noi non stiamo combattendo le banche, anzi stiamo dialogando, ma questa e’ una distorsione intollerabile: pochi anni fa la differenza si limitava a due punti. Io – sottolinea l’imprenditore a cui fa capo il gruppo Seven-Invicta – che avevo uno spread pari a zero, ho dei tassi oggi che mi vergogno a dire”. Alla due giorni dell’Oval, ci sara’, naturalmente, il presidente Squinzi, il presidente nazionale dei ‘piccoli’ Vincenzo Boccia, i leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil, Camusso, Bonanni e Angeletti. Poi, Harold Sirkin, senior partner di Boston Consulting che scommette sulla rinascita dell’industria manifatturiera negli Usa e dara’ qualche spunto anche per l’Italia. Il commissario europeo Antonio Tajani oltre all’ad di Intesa-Sanpaolo Enrico Cucchiani. Sullo sfondo rimane il problema stutturale delle piccole aziende nazionali, quello del nanismo, con dimensioni pari a un terzo delle concorrenti tedesche e alla meta’ della media europea; quello della scarsa capacita’ di fare rete, quello di essere intervenuti in ritardo a fare efficienza rispetto alle realta’ medio grandi, anche per il legame quasi familiare che unisce in molte fabbriche l’imprenditore ai suoi dipendenti. ”Gia’ uno studio della Bocconi di due anni fa – racconta di Stasio – non dava chance competitive alle aziende sotto i 15 milioni di fatturato, vale a dire circa 30 dipendenti. Sopra questa soglia ci sono pero’ soltanto 225mila imprese dei 4,5 milioni totali. Per 1,6 milioni di imprese la media e’ di 3,8 dipendenti, una realta’ ridicola”. eg/rf