Media: il giornalismo digitale e il pubblico ‘connesso’

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(askanews) – Roma, 19 gen – La prima cosa da dire e’ che questopezzo e’ un sequel, e’ il completamento dell’articolopresentato nell’ultimo numero dell’edizione cartacea di MediaDuemila. In quel pezzo si riassumevano i risultati di unapiu’ ampia ricerca effettuata sui media digitali (ricercafinanziata da Open Society Foundation e condotta dalsottoscritto assieme a Gianpietro Mazzoleni, Universita’degli Studi di Milano, e Giulio Vigevani, Universita’ degliStudi di Milano-Bicocca). In quel pezzo non abbiamo parlatodi media digitali nel loro complesso, quanto di giornalismodigitale. A essere precisi abbiamo parlato delle virtu’ delgiornalismo digitale. Lo abbiamo fatto rimanendo saldamentenell’ambito della produzione di contenuti informativi. Ne da’notizia la newsletter MediaDuemila.

In questo articolo, invece, sconfiniamo, andiamo in unambiente ameno, se non altro per la mia sensibilita’ diricercatore: ci occupiamo di lettori, o meglio, di prosumers.

Il termine deriva da una brutta crasi che unisce le paroleproduttore e consumatore (producer e consumer). Indicapercio’ coloro che contemporaneamente producono e fruisconocontenuti mediali. E’ ridondante sottolinearlo, ma il terrenoe’ scivolosissimo.

Alcuni studiosi intravedono negli esiti delle pratiche messein atto dai prosumers non solo un cambiamento dei media (e diconseguenza un cambiamento nei modi in cui dobbiamoconcepirli), ma addirittura un cambiamento culturale toutcourt. Il riferimento ovvio e’ a Jeremy Jenkins e al suoCultura Convergente (2006).

Con una tecnica narrativa posticcia, ma quanto mai in voga(soprattutto in ambito accademico), anche qui facciamoriferimento a un pezzo di letteratura – in questo casoappunto alla Cultura Convergente di Jenkins – per criticarlae prenderne immediatamente le distanze, innanzitutto dalpunto di vista metodologico, subito dopo da quello teorico.

Dal punto di vista metodologico perche’ la ricerca cheabbiamo svolto si e’ trovata a considerare, osservare evalutare (in questo rigoroso ordine) solo il portato dellepratiche messe in atto dal lettore e questo portato e’ statoconsiderato rispetto alle dinamiche che innesca nelleredazioni. Insomma, non era obiettivo della ricerca fareun’indagine su chi siano coloro che commentano, mandano fotoo altro tipo di materiale alle redazioni. No, il nostro puntodi vista e’ stato sempre saldamente dalla parte deigiornalisti, di chi produce informazione. Dalla parte delnewsmaking, insomma.

Allo stesso tempo quello che preme sottolineare e’ che cisiamo trovati a considerare questo aspetto seppure neldisegno iniziale della ricerca era stato sottovalutato (ok,ammettiamo, ancorati alla sociologia degli emittenti eaggrappati all’analitica separazione tra chi produce e chiconsuma contenuti dei media, non lo avevo neanche preso inconsiderazione).

Nella prima intervista effettuata per la ricerca, quando ilmio interlocutore stava concludendo la ricostruzione dellasua biografia professionale, proprio nel momento in cuiraccontava del suo passaggio lavorativo dai mediatradizionali a quelli elettronici, intercalo’ – quasi sbadato- : ”Va beh, poi c’e’ tutto il discorso sul lettore”. E iosu quella frase buttata li’ apparentemente in manieradistratta, rilanciai (in maniera poco ortodossa dal punto divista metodologico, proprio perche’ suggerivo quasiplatealmente una risposta), ”Intende la retorica sullapartecipazione del lettore alla produzione diinformazione?”. ”Ma che retorica! Qua siamo nel mezzo diuna vera e propria rivoluzione”. Bang.

http://www.mediaduemila.it/?p=11748.

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