Pensioni: a riposo piu’ tardi con riforma Fornero ma resta nodo esodati

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(askanews) – Roma, 3 gen – In pensione piu’ tardi. E’ questa laprincipale misura della riforma delle pensioni messa a puntoda Elsa Fornero ed entrata in vigore dal primo gennaio. Ilministro del lavoro del governo tecnico guidato da MarioMonti ha cosi’ messo mano ad un provvedimento che, di fatto,dal 2013 modifica sia l’eta pensionabile, sia i requisiti perritirarsi dal lavoro, chiudendo definitivamente la finestramobile per andare a riposo con le vecchie regole.

Per gli uomini la pensione anticipata sostituisce quelladi anzianita’. La novita’ si trova nell’abolizione dellequote e nell’incremento di un anno per gli anni di contributinecessari per l’uscita dal lavoro. Per la pensione divecchiaia basteranno cosi’ 66 anni e 3 mesi, rispetto ai 66anni in vigore fino alla fine del 2012, mentre per lapensione anticipata ci vorranno 42 anni e 5 mesi dicontributi (41 anni e 5 mesi per le donne). Per i lavoratoridipendenti e’ prevista un’eccezione con la possibilita’ diandare in pensione a 64 anni se si sono maturati entro il2012 i 60 anni di eta’ e i 35 anni di contributi.

Per le donne l’aumento e’ significativo per il fatto chel’eta’ aumentera’ gradualmente fino al 2018, quando sara’equiparata a quella degli uomini. Dal 2013 le lavoratricidipendenti andranno in pensione con 62 anni e tre mesi dieta’, mentre per le autonome 63 anni e 9 mesi. Fino alla finedello scorso anno le dipendenti andavano in pensione divecchiaia con 61 anni (60 piu’ uno di finestra mobile) e lelavoratrici autonome con 61 anni e mezzo (60 anni piu’ 18mesi di finestra mobile). A partire dal 2014 ci vorranno 63anni e 9 mesi per le dipendenti e 64 anni e 9 mesi per lelavoratrici autonome. Il governo ha poi previsto una sorta di”cuuscinetto” per evitare il salto repentino previsto pergli anni successivi prevedendo che le dipendenti che abbianocompiuto 60 anni entro il 2012 possano andare in pensione a64 anni e 7 mesi (quindi nel 2016 senza rischiare l’ulteriorescalino a 65 anni e tre mesi).

Nonostante le misure adottate resta aperto un problemadecisamente urgente: gli esodati. La matassa dei lavoratoriche, per effetto della riforma previdenziale, restano senzastipendio ne’ pensione, quindi, non e’ ancora del tuttosbrogliata. Nonostante i tre decreti e i 10 miliardi difinanziamenti pubblici che hanno offerto una scialuppa disalvataggio a 130 mila italiani che erano stati spiazzatidalle nuove regole, il numero dei cosiddetti ”esodati”resta comunque alto.

Il primo decreto che puntava al recupero di 65 milaesodati pensionabili entro fine 2013 e’ stato definito eprotegge 25 mila lavoratori in mobilita’ ordinaria, 17 milasotto la copertura dei fondi di solidarieta’, 10 milaappartenenti alla categoria dei prosecutori volontari, 3.500in mobilita’ lunga e un migliaio tra esonerati e lavoratoriin congedo. Quanto ai 55 mila che sono rientrati nell’alveodel welfare italiano lo scorso luglio quando e’ stata varatala serie di misure passata alla storia come spending review,la situazione e’ irrisolta in quanto manca un decretoattuativo del ministero del Lavoro. Nella Legge di stabilita’e’ stato poi adottato un emendamento che amplia di altre 10mila unita’ la platea dei dipendenti senza protezione, diquesti, 800 appartengono alla mobilita’ ordinaria, circa 5mila sono quelli protetti a patto di aver abbandonatol’impiego in seguito alla sottoscrizione, entro il 31dicembre 2011, di accordi collettivi o individuali.

Al momento definire con precisione quante persone restanosenza tutele non e’ facile. Ci ha provato la Cgil sostenendoche gli esodati sono 200 mila. Per lo piu’ lavoratori dipiccole e medie imprese del nord, agricoltori, interinali edonne. Il sindacato arriva a questa cifra mettendo insiemespezzoni sociali cui le norme del parlamento non hannoofferto protezione e, in particolare, tutti i lavoratori chehanno sottoscritto accordi di mobilita’ validi dopo il 4dicembre 2011, oppure quelli che hanno firmato fuori dallesedi di carattere governativo.

Restano fuori quindi i lavoratori che hanno firmatoaccordi territoriali o aziendali, oltre a chi, entro il 6dicembre 2011, non aveva ancora effettuato un solo versamentovolontario. Molte lavoratrici poi, in base alla riforma del’92, potevano andare in pensione a 60 con soli 15 anni dicontributi, ma con la riforma questo non e’ piu’ possibile.

glr/rf