Ecco perché Borse ridono a bastone Fed e piangono con carota Bce

In entrambi i casi eccessi di aspettative. E la tattica di Draghi

DIC 17, 2015 -

Roma, 17 dic. (askanews) – I mercati che oggi brindano al rialzo dei tassi della Federal Reserve sono gli stessi che, appena due settimane fa, avevano accolto con una pioggia di vendite la mossa in senso opposto della Bce. Paradossalmente, la “carota” annunciata dal presidente Mario Draghi – il prolungamento del quantitative easing targato Bce e un ulteriore taglio ai tassi sui depositi – era stata seguita da cadute a precipizio dei listini. E altrettanto paradossalmente ora, il primo rialzo dei tassi di interesse in quasi un decennio della Fed, il “bastone” di Janet Yellen è stato accolto con balzi in avanti dei listini.

Ovvero esattamente l’opposto di quanto avviene solitamente: rialzi dell’azionario quando la Banca centrale vara mosse espansive, specialmente quella Usa, e indebolimenti quando invece procede a inasprimenti.

Il motivo per il quale si è assistito a reazioni paradosse è ancora una volta legato alle aspettative. In entrambi i casi, con le spirali di ipotesi, indiscrezioni, previsioni e pronostici che hanno lungamente preceduto entrambe le decisioni, i mercati si erano sbilanciati ben oltre quelle che poi sono state le misure concretamente adottate.

Nel caso più recente, quello della Federal Reserve, le incognite non riguardavano tanto il se sarebbe stato effettivamente operato il rialzo, su cui ormai l’istituzione doveva procedere per evitare di danneggiare gravemente la sua reputazione. Le ansie circondavano piuttosto i segnali che la Yellen avrebbe inviato sulla velocità e la consistenza dei rialzi futuri.

In base a quanto comunicato ieri e ai segnali di cautela offerti dalla Yellen, le attese prevalenti degli analisti indicano ora altri tre rialzi in vista nel corso del 2016, per 75 punti base complessivi. E poi altri 100 punti base nel 2017. Una velocità di incremento moderata, e comunque inferiore a quella che ci si era precedentemente spinti a ipotizzare. Quindi l’insieme delle misure è stato vissuto come un sollievo dagli operatori, che hanno rilanciato gli acquisti e spedito al rialzo i listini.

All’opposto lo scorso 3 dicembre il “Qe2” annunciato da Draghi si è decisamente rivelato inferiore alle aspettative che, forse ingiustificatamente, forse anche con qualche complicità comunicativa dell’istituzione, erano lievitate sui mercati. Sul taglio ai tassi sui depositi, che le banche commerciali parcheggiano presso la stessa Bce, risultato pari a 10 punti base, erano state ipotizzate riduzioni da 15 o perfino 20 punti base.

La proroga al piano di acquisti di titoli, 6 mesi in più, forse di per sé non ha deluso. Forse l’aspetto che ha maggiormente gelato le attese è legato al fatto che erano ampiamente circolati pronostici di un rafforzamento del ritmo mensile di questi acquisti, che invece è rimasto fermo a 60 miliardi di euro.

Certo, alcuni osservatori ora ipotizzano che la cautela di Draghi potrebbe esser stata una deliberata scelta tattica, perché se avesse varato un pacchetto di misure più energico avrebbe reso più difficile oggi alla Fed operare la sua stretta.

In ogni caso avrebbe rischiato di utilizzare tutte le munizioni rimaste nella giberna dell’istituzione. Invece in questo modo, a seconda di come si evolverà la congiuntura economica nei prossimi mesi, la Bce potrà decidere se fare altro o attendere. Non a caso nel bollettino economico appena pubblicato l’istituzione ha ribadito di avere “la volontà e la capacità di agire, se necessario”. E che il piano di acquisti di titoli “offre sufficiente flessibilità in termini di dimensioni, composizione e durata”.