Countdown mercati su nuovo piano Draghi: giovedì atteso “Qe”

Dubbi su condivisione rischi e mole acquisti titoli di Stato

GEN 19, 2015 -

Roma, 19 gen. (askanews) – Ci si è messo pure il presidente francese Francois Hollande a dare per cosa fatta il lancio di un massiccio piano di acquisti di titoli di Stato da parte della Bce. L’inquilino dell’Eliseo è solo l’ultimo di una lunga lista di “oracoli” sulla politica monetaria, che hanno fatto cementare sui mercati l’attesa dell’imminente lancio di un “Quantitative Easing” targato Francoforte, anche perché la Bce si è astenuta da qualsivoglia smentita. L’annuncio è atteso subito dopo il Consiglio direttivo che si terrà giovedì 22 gennaio. A quel punto, nella tradizionale conferenza stampa esplicativa, difficilmente il presidente Mario Draghi potrà presentarsi a “mani vuote”.

La reazione rischierebbe di essere brutale, in un contesto di accentuata volatilità dei mercati come quello attuale. Il punto non è tanto sul “sé” verrà lanciato il Qe, ma sul “quando” e sul “come”. I dubbi infatti riguardano la caratteristiche effettive che avrà questo intervento. Perché l’acquisto di emissioni pubbliche, che dovrebbe essere la spina dorsale della manovra, presenta anche delle problematicità che potrebbero pesare sulle scelte di Francoforte.

Formalmente, l’operazione viene giustificata con l’esigenza di intervenire contro l’eccessivo protrarsi della bassa inflazione nell’area euro, che a dicembre con un meno 0,2 per cento è addirittura finita a livelli negativi per la prima volta dalla recessione globale del 2009. Lontanissima dall’obiettivo ufficiale della Bce, che la vorrebbe inferiore ma vicina al 2 per cento. Quello delle emissioni sovrane è il mercato più ampio disponibile, e sarebbe quindi necessario passarvi per centrare l’obiettivo dichiarato, di aumentare di circa 1.000 miliardi di euro la mole del bilancio Bce.

Il problema è che i trattati europei vietano alla Banca centrale di finanziare (monetizzare) i debiti pubblici dei Paesi. Una dsiposizione che sarebbe aggirabile acquistando sul “mercato secondario”, ovvero solo emissioni già in circolazione e non partecipando alle aste di assegnazione. Ma questo non farebbe venir meno le resistenze di coloro nel Consiglio, guidati dalla Bundesbank tedesca e dal suo presidente Jens Weidmann, che vedono con aperta ostilità un Qe lamentando “l’azzardo morale” che comporta sui rischi di solvibilità dei paesi. Si correrebbe il pericolo di far ricadere sulle spalle di tutti i contribuenti di Eurolandia i problemi di un singolo Stato.

Per questo nelle ultime settimane è circolata l’ipotesi che un possibile compromesso potrebbe essere rappresentanto dal distribuire sui bilanci delle rispettive Banche centrali nazionali i titoli dei vari Paesi. Ma anche questa strada presenterebbe dei problemi: “sarebbe come sancire la fine dell’Unione monetaria”, ha avvertito un ex esponente della Bce, Marcel Fratzscher, tedesco citato dal Financial Times. “Meno condivisione dei rischi e meno sforzi comuni”.

L’altro punto problematico è nella mole dell’intervento. Perché le cifre circolate sul finale d’anno, circa 500 miliardi di euro, sono state viste con scetticismo dagli analisti, generalmente ritenute insufficienti. Più di recente, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha chiarito che la manovra potrebbe superare le attese. Su questi e altri punti Draghi sarà chiamato a fare chiarezza, al termine del primo direttorio operativo del 2015.

Intanto la Bce dovrà anche fare i conti con diversi sviluppi di rilievo. Innanzitutto i continui e pesanti cali del petrolio, che aggravano i rischi di debolezza dei prezzi al consumo. Finora sia Francoforte che la Commissione europea hanno smentito che nell’area euro si sia innescata la deflazione. Questa viene definita con un protratto e generalizzato calo dei prezzi che finisce per “contagiare” anche le attese del pubblico, determinando rinvii degli acquisti in vista di ulteriori cali che portano ad un circolo vizioso di ulteriori flessioni. Quando si produce è considerata perfino più difficile da contrastare dell’inflazione.

Dall’altro lato, in positivo, aiutano i continui cali dell’euro, finto sotto quota 1,16 sul dollaro è ai minimi da 11 anni a questa parte. Oltre a favorire le esportazioni, rendendole più competitive, questo movimento valutario tende anche a aumentare l’inflazione “importata”. Ma anche qui, la velocità con cui la divisa si sta deprezzando potrebbe finire per sollevare alcune inquietudini alla Bce.

E ad accentuare questo movimento si è aggiunta la recente mossa a sorpresa della Banca centrale della Svizzera, che ha sganciato il franco dalla soglia minima sull’euro (1,20), favorendo ulteriori cadute della valuta condivisa. Manovra che peraltro ha creato ipotesi (finora smentite) che a breve anche la Danimarca possa decidere provvedimenti simili sulla corona. La Bce può “gradire” una svalutazione progressiva e contenuta, ma certo non un deprezzamento destabilizzante come quello accaduto al rublo russo a seguito del crollo del petrolio.