Libertà, arte, follia: gli anni venti totalizzanti e sperimentali

Al Museo Guggenheim Bilbao una mostra multidisciplinare

MAG 11, 2021 -

Bilbao, 11 mag. (askanews) – Un decennio dirompente, incastrato negli anni più terribili del XX Secolo, rivisitato attraverso una lettura totalizzante e multidisciplinare che vuole restituire il dinamismo creativo e la grande libertà di sperimentazione del periodo. Il Museo Guggenheim Bilbao ha inaugurato l’esposizione “I folli anni venti”, realizzata in collaborazione con la Kunsthaus di Zurigo.

“Questa – ha detto il direttore generale del museo basco, Juan Ignacio Vidarte – è la seconda mostra di quest’anno che prevede una sguardo sul passato, ma è uno sguardo che vuole anche permettere di capire come interpretare e intervenire sul futuro”.

Già, perché uno dei fili rossi interpretativi della mostra, curata da Catherine Hug e Petra Joos, è proprio quello del “salto nel futuro” che gli anni venti hanno effettivamente messo in atto e che si manifesta in molteplici modi, dall’utilizzo delle immagini in movimento all’esplosione della moda, dalla denuncia sociale alle grandi conquiste dell’architettura. E in relazione alla struttura unica del museo bilbaino si è mosso anche il drammaturgo Calixto Bieito, chiamato a realizzare la scenografia della mostra.

“Questo – ha detto il regista spagnolo ad askanews – è un museo con sale meravigliose e molto grandi e con Petra abbiamo voluto pensare lo spazio come un paesaggio, come una grande sinfonia, fatta di musiche e colori diversi”.

“Io penso – ha aggiunto la co-curatrice Joos – che l’architettura può essere molto bella, molto funzionale, molto innovativa. Però diventa ancora più bella quando si riempie con qualcosa di magico. Ci sono molti aspetti che il visitatore non conosce e ognuno desidera scoprire cose diverse. Ma la scoperta in sé è già una forma di magia”.

Che poi, e qui sta forse la più interessante forma di libertà della mostra stessa, se volete in relazione con la libertà dadaista del Cabaret Voltaire di Zurigo, si manifesta anche nell’accostamento tra le opere dell’epoca e il lavoro di artisti contemporanei, come Kader Attia o Thomas Ruff, che dialogano in una sorta di simbiosi emotiva con i film di Fernand Léger o di Walter Ruttmann, con i ritratti glamour di Christian Schad, con i corpi delle attrici e della ballerine come Josephine Baker, con le immagini del desiderio, con gli abiti di Coco Chanel, con Mondrian e con il razionalismo del Bauhaus, solo per fare qualche esempio.

“Non si può capire l’arte – ci ha detto Bieito, scegliendo di dirlo in italiano – se non come una totalità. L’arte non è il teatro, o la musica, non è il profumo. E’ tutte queste cose insieme”.

Il Museo Guggenheim di Bilbao si trasforma quindi in una sorta di palco per una mostra che ha nell’attenzione alle arti performative un’altra delle posture curatoriali che definiscono lo spazio fisico e metaforico dell’esposizione. Uno spazio nel quale l’incubo e la disperazione vanno a braccetto con il jazz e una straripante volontà di vivere la frivolezza; la teoria quantistica si sposa alle rivendicazioni sociali e molte cose che fino a quel momento erano parse impossibili prendono una forma reale. Che forse possiamo riassumere a partire dai nuovi modi di vedere il mondo che dai folli anni venti ci portano necessariamente fino a noi.

(Leonardo Merlini)