Enzo Mari, un designer attivista che guardava a Duchamp

Addio a un protagonista del Novecento: passione e rigore etico

OTT 19, 2020 -

Milano, 19 ott. (askanews) – La grande mostra retrospettiva sul suo lavoro si è aperta da pochi giorni in Triennale a Milano, dopo i rinvii per la pandemia, quando arriva la notizia della morte di Enzo Mari, designer di fama mondiale, nato a Novara nel 1932 e diventato uno dei simboli di quel Made in Italy creativo che in un certo senso ha dato una forma a parte della storia industriale del nostro Paese, oltre che a quella culturale. Presentando la mostra, il presidente della Triennale Stefano Boeri aveva descritto Mari come un intellettuale europeo che ha costruito un “percorso straordinario dove i confini tra le discipline sfumano e prevale la passione, il rigore, un impegno etico fuori dal comune”.

Fondamentale è stato anche il contributo teorico di Mari, che ha dato contributi sia in termini di estetica e funzionalimo sia nel campo politico, da vero e proprio attivista culturale. Tanto che Alessandro Mendini, altro protagonista assoluto della scena del design italiano scomparso da poco, aveva dichiarato che “Mari non è un designer, se non ci fossero i suoi oggetti mi importerebbe poco. Mari invece è la coscienza di tutti noi, è la coscienza dei designers, questo importa”.

Ovviamente, però, ci sono anche gli oggetti di Mari, come per esempio il contenitore da tavola “Putrella” del 1958, che nasce da una normale trave per l’edilizia semplicemente piegata in un gesto unico di lavorazione. “Un prelievo duchampiano dal mondo della produzione – si legge nella descrizione del catalogo del Triennale Design Museum – accoppiato a un gesto primario. Con questa serie di contenitori per la casa in ferro Mari si discosta dal mondo egli oggetti plasticamente accattivanti e segna la rinascita dirompente di un’azienda di ricerca come la Danese”.

A dimostrazione della rilevanza del lavoro di Mari anche il fatto che la mostra milanese sia curata da Hans Ulrich Obrist, uno dei più importanti interpreti del contemporaneo a tutti i livelli. Per Obrist la figura di Mari è quella di “un ribelle con l’ossessione della forma” e partendo da questo assunto, e dalla convinzione dell’artista che i progetti nascessero dal bisogno, come forma di rabbiosa reazione all’orrore di fronte a ciò che si poteva “vedere fuori dalla finestra”, la mostra in Triennale ha affrontato con materiali diversi i molteplici ambiti della sua attività, ricomponendo una lettura della sua grandezza. Cha ha vissuto anche momenti di incomprensione, pur nella visionarietà, come quando nel 1974 – ancora una volta guardando alla grande lezione di Duchamp – aveva immaginato dei kit per realizzare da sé dei mobili, che però i pubblico dell’epoca non comprese. La metodologia, però era radicata nel lavoro di Mari che l’aveva già applicata, per esempio, a delle ciotole, nelle quali l’utente finale giocava la propria parte, non solo da fruitore passivo.

“La trasformazione – ha scritto ancora Obrist – in Mari nasce dal bisogno. E c’è qualcosa di molto umile nell’idea di creare solo ciò che serve. La modestia e il dubbio hanno sempre fatto parte della sua pratica Il quale crede che l’oggetto perfetto sia ancora da progettare, e sfida sempre se stesso a fare meglio. Volendo adattare la famosa citazione di Ad Reinhardt a questa figura davvero unica: Enzo Mari è Enzo Mari, e tutto il resto è tutto il resto”.