Biennale, Leoni d’Oro speciali: ovvero come ri-pensarsi al futuro

Riconoscimenti postumi a Calvesi, Celant, Enwezor e Gregotti

AGO 6, 2020 -

Milano, 6 ago. (askanews) – Il processo di riflessione su se stessa, sulla propria identità e sulla propria storia, che la Biennale di Venezia sta portando avanti pubblicamente in questo strano 2020 segnato dall’emergenza Covid e dal rinvio della Mostra di Architettura curata da Hashim Sarkis, prosegue anche nella scelta dei Leoni d’Oro speciali che accompagneranno la mostra sulla storia della Biennale, “Le Muse inquiete”, che aprirà al pubblico il prossimo 29 agosto. I premi, in una sorta di ulteriore ragionamento su ciò che abbiamo perso nell’anno della pandemia globale, sono stati infatti assegnati a Maurizio Calvesi, Germano Celant, Vittorio Gregotti e Okwui Enwezor: tutti sono stati direttori artistici del settore Arti visive della Biennale e i primi tre sono scomparsi proprio nel 2020, mentre Enwezor, tra l’altro il più giovane, è morto l’anno prima.

Insomma, riconoscimenti che potrebbero essere letti come autoreferenziali, ma si tratta di una autoreferenzialità che diventa autoriflessione, indagine su ciò che è stato e sui modi in cui un’istituzione cruciale come la Biennale continua a pensare se stessa di fronte al mondo. Per riconoscersi, ma anche, ci permettiamo di pensare, per potersi evolvere, cambiare, adeguare alle dinamiche di una contemporaneità che è sfuggente per definizione e che mette alla prova in molto modi il ruolo ufficiale della Biennale veneziana, chiedendole di essere, al tempo stesso, palcoscenico autorevole e finestra sull’avanguardia, luogo di canonizzazione e tempio dell’iconoclastia. Negli anni queste dimensioni differenti hanno spesso convissuto ed è ragionevole pensare che lo faranno di nuovo in futuro, una volta che il vuoto sociale di questi ultimi mesi potrà tornare, in modi diversi, certo, ma di presenza, a essere colmato.

Naturalmente i premi sono anche riconoscimenti della grandezza e della rilevanza delle visioni dei quattro premiati, a proposito dei quali il presidente della Biennale, Roberto Cicutto, ha sottolineato la comune caratteristica di “un pensiero critico originale e visionario che ha saputo guardare al futuro, spesso anticipandolo”. Il punto ci pare proprio questo; il messaggio dell’anno sabbatico forzato della Biennale è la necessità di difendere una vocazione un po’ folle all’anticipazione di quello che verrà o, anche questo è molto chiaro, una volontà di contribuire, dal presente, alla costruzione dell’immagine del futuro, quasi con una interpretazione a priori in grado di dare forma ex ante alle tendenze successive. Questo è ciò che hanno fatto Calvesi, Celant, Enwezor e Gregotti, in modi diversi certo, ma con una forza definitoria che aveva qualcosa di spericolato e lucido al tempo stesso. E dunque i Leoni d’Oro speciali sono un’altra faccia della mostra sulla storia della Biennale, sono un corollario di possibilità a venire che partono da quattro lezioni particolari e potenti, particolarmente sentite nell’anno del grande vuoto seguito all’esplosione del Covid.

Ciò detto, comunque, è importante ricordare anche che le Biennali di Cinema, Danza, Musica e Teatro si terranno nel 2020, nel rispetto delle regole di sicurezza, ma dal vivo, con il pubblico, nei luoghi tradizionalmente deputati a ospitarle.

L’interazione tra le dimensioni più profonde della riflessione sul passato e l’urgenza scenica di tornare a esserci a Venezia, con progetti di ricerca forti, è probabilmente la migliore immagine per raccontare che cosa sta accadendo intorno alla Biennale e la voglia dell’istituzione di non dimenticare il proprio passato nell’ottica di continuare ad avere una rilevanza vera anche nel futuro.