“Nati dopo l’89”, la mostra reportage sulla generazione post-Muro

Al Goethe Institut a Roma; volti di Dresda, Trieste, Bonn e Bari

NOV 6, 2019 -

Roma, 6 nov. (askanews) – “Nati dopo l’89” è il titolo della mostra reportage che racconta la generazione post-Muro e che verrà inaugurata al Goethe Institut a Roma (Padiglioni esterni) l’8 novembre (alle 18.30), e in contemporeanea in altre 10 città italiane, da Venezia a Palermo.

Con “Nati dopo l’89” il Goethe-Institut, Ignacio Maria Coccia e Matteo Tacconi, sono andati a cercare le storie della generazione post-Muro in quattro città simbolo: Dresda, nella ex DDR ancora avvolta da una certa mentalità dell’Est, Bonn nell’Ovest, nonché ex capitale della Germania occidentale. Trieste città di frontiera, multiculturale, piccola Europa in scala, e Bari, più a Sud ma sempre sull’Adriatico: un muro d’acqua al tempo della Guerra fredda.

Il risultato sono quattro reportage, uno per città, e una mostra – visibile fino al 14 febbraio 2020 – in cui ci sono i ritratti di venti giovani, studenti o lavoratori, fotografati nei luoghi scelti da loro stessi. Cortili universitari, bar, vie del centro storico, teatri, fabbriche dismesse e musei. Venti giovani nati dopo l’89 che, attraverso il vissuto delle loro famiglie e le libertà ereditate negli ultimi 30 anni, ricostruiscono la nostra storia recente. Qual è la percezione che hanno i nati dopo l’89 della storia del Muro di Berlino e dell’Europa di 30 anni fa?

In mostra, oltre alle foto di Ignacio Coccia, ci sono le testimonianze raccolte da Matteo Tacconi, secondo le quali è evidente che in Germania i giovani sono più influenzati dalla storia del Muro. “Non vedo grandi fossati tra oriente e occidente del Paese. Percepisco di più le spaccature all’interno di singole realtà, per esempio tra quartieri ricchi e poveri di una città”, spiega Anne-Kathrin Hartmann, truccatrice teatrale di Dresda, di 23 anni. Hannah Stegmeier, studentessa diciottenne di Bonn, percepisce differenze tra Est e Ovest solo sul tema dell’immigrazione: “A Ovest siamo abituati all’immigrazione, da decenni. A Est lo sono di meno, e forse è per via di questo che nel corso degli ultimi anni sono emersi fenomeni di intolleranza”.

In Italia l’89 è più lontano, più sfumato. A Trieste si avverte di più il ’91, per esempio, l’anno del crollo della Jugoslavia, l’ex vicino. Passaggio, questo, sentito in modo particolare tra i giovani sloveni e serbi della città. Sostiene Nikola Sandi, 26 anni, membro della comunità serba: “Di recente sono stato a Berlino, e ho visto una mostra sull’89. Mi ha fatto molto effetto, perché mentre i tedeschi e gli europei nell’89 guardavano con ottimismo al futuro, in Jugoslavia si viveva il clima cupo che precedette la guerra”. A Bari l’89 è ancora più lontano, per i giovani un momento spartiacque è la crisi economica del 2008-2009. E forse è anche per questo che l’Europa non fa più sognare come una volta. Ma resta necessaria. “Oggi vediamo che i valori per cui l’Europa è nata del dopoguerra sono disattesi da qualcuno. Dobbiamo essere vigili”, denuncia Agata Otranto, 19 anni, studentessa universitaria.

Sull’importanza dell’Europa concordano, con sfumature diverse, tanti altri ragazzi. Philipp Werner, 23 anni, architetto di Dresda ha capito l’importanza di far parte dell’Unione Europea di fronte alle difficoltà burocratiche della sua ragazza albanese in Germania; Riccardo Pilat, imprenditore culturale triestino di 23 anni sogna elezioni europee in cui poter scegliere il candidato preferito, a prescindere dalla sua nazionalità.

La mostra viene inaugurata a novembre anche presso il Deutsches Institut di Firenze, le Associazioni Culturali Italo-Tedesche di La Spezia e Venezia, gli Istituti di Cultura Italo-Tedesca di Livorno e di Savona, il Centro Culturale Italo-Tedesco di Piacenza, i Goethe-Zentrum di Verona e Palermo, l’Istituto Culturale Tedesco di Perugia.