Lo spazio come realtà: i neon di Dan Flavin da Cardi a Milano

Indagine sull'evidenza della luce e dell'arte, fino al 28 giugno

FEB 19, 2019 -

Milano, 19 feb. (askanews) – Sono dei semplici neon, ne siamo certi. E l’artista lo ha sempre ribadito con la celebre formula “It is what it is”, è quello che è. Ma i lavori di Dan Flavin, artista decisivo della grande stagione del minimalismo americano, sono anche qualcosa d’altro, sono prove dell’esistenza dello spazio e nello spazio, sono sculture di luce tanto chiare e chiarificatrici a livello di presenza del mondo dall’altra parte quanto oscure e storicamente prive di quello che una certa critica si ostina a volere chiamare “significato”.

Non si tratta di cercarlo più a fondo, questo significato, ma di lasciarsi avvolgere dalla sua mancanza, dalla sua voluta assenza, che però coincide con la presenza di un fatto d’arte (fatto più che oggetto) il quale, in questo caso indipendentemente dalle opinioni di chi lo ha creato, esiste comunque, viene da dire che esiste in sé.

Per questo la mostra personale di Flavin allestita nella Galleria Cardi di Milano è più uno stato d’animo che una esposizione, è più una possibilità di repertorio che non un repertorio stesso di lavori. Perché i neon, bianchi o molto tenui al piano terra, decisamente più colorati al primo piano, appaiono nel loro essere delle verifiche dell’idea di realtà per come la possiamo immaginare e, questo conta ancora di più, per come la possiamo vivere, all’interno di uno spazio che è definito dai neon prima ancora che dalle pareti.

E’ questa la grande conquista di Dan Flavin, e per estensione anche del minimalismo (pensate a come hanno modificato l’idea di spazio anche Carl Andre o Donald Judd, per fare due nomi), ed è questa, semplicemente, la sensazione che si prova dentro la mostra da Cardi. Un’esperienza che vive di una sua logica e al tempo stesso la nega, la supera, la riformula secondo condizioni che sono quelle interne e implicite dei neon.

Essi restano quello che sono, nessuno vuole smentire Flavin, ma, per parafrasare lo scrittore James Ballard, essi ci guardano anche dalle loro torri di luce, che sono presenti e assenti, evidenti e incomprensibili: fondative di una dimensione del contemporaneo che poi ha camminato con le sue proprie gambe dentro lo spazio di una realtà che è diventata totalmente artistica, e proprio come tale ha abbracciato tutta l’altra cosiddetta “realtà”, assorbendola e portandola fino al confine della contraddizione interna. Ma fermandosi giusto poco prima, in tempo per salvare le apparenze dell’empirismo filosofico e rivivificare il “grande teatro naturale” del mondo, quello stesso luogo in cui il Kafka di “Amerika” aveva immaginato che ciascuno fosse chiamato a recitare se stesso. Molto probabilmente su una scena illuminata con una luce simile a quella dei neon.

La mostra su Dan Flavin resta aperta in corso di Porta Nuova fino al 28 giugno prossimo.