Libri del 2018, saggistica: una filosofia per il presente

"Iperoggetti" di Timothy Morton e le lezioni di Yuval Noah Harari

DIC 24, 2018 -

Milano, 24 dic. (askanews) – “La fine del mondo è già avvenuta. Ciò che gli esseri umani hanno davanti agli occhi in questo momento è proprio la fine del mondo, determinata dagli iperoggetti”. Non è una citazione tratta da un libro di fantascienza (per lo meno non nel senso in cui siamo abituati a pensare la fantascienza, concetto che andrebbe forse ora riformulato, anche alla luce di libri come “Annientamento” di Jeff VanderMeer), ma da uno dei saggi filosofici più stimolanti, visionari e problematici che siano apparsi in Italia nel 2018: “Iperoggetti”, del pensatore britannico classe 1968 Timothy Morton, pubblicato nel nostro Paese da Nero edizioni. Un libro per lunghi tratti illuminante, che analizza come queste “entità diffusamente distribuite nello spazio e nel tempo” – gli iperoggetti, non umani e non conoscibili mai fino in fondo – influenzino da sempre la nostra vita e ora abbiano decretato la fine del mondo nel senso dell’idea di mondo, che per altro era già una problematica “antinomia della ragione” nella filosofia di Kant a fine settecento. Il più clamoroso caso di iperoggetto, e in un certo senso il punto chiave della riflessione di Morton, è il cambiamento climatico. Al netto di qualsiasi considerazione filosofica più o meno sofisticata – e benché pubblicamente Morton osteggi la visione di Kant, nei fatti è lui stesso a dare nuova linfa al concetto di noumeno, ossia la “cosa in sé” che né nell’idealismo tedesco, né in questa visione ipercontemporanea e post punk possiamo raggiungere – al netto di tutto ciò, resta un fatto: il cambiamento climatico è il Tema del nostro presente, e libri come “Iperoggetti” servono, oltre a molto altro, anche a ricordarci quanto sia impellente pensarlo (e ovviamente poi agire, ma senza pensiero non c’è azione) in modi nuovi. Perché se la fine del mondo è già successa, e in un certo senso anche Wim Wenders o qualunque scienziato specializzato in robotica ce lo possono confermare, noi siamo ancora qui. Aggiungo anche una piccola postilla: per chi ha amato i libri di VanderMeer appare anche chiarissimo che l’Area X della sua Trilogia di grande successo, altro non è che un iperoggetto divenuto materia di letteratura. Qui però dobbiamo fermarci, perché entrando nell’Area le regole cambiano completamente, ed è un’altra storia che racconteremo un’altra volta.

A fare in un certo senso il paio con Morton c’è un altro saggio sul nostro presente, questa volta inserito nel circuito mainstream dei bestseller internazionali, più accessibile e amato perfino da Bill Gates, che lo ha consigliato come regalo natalizio (in una lista di cinque titoli): sono le “21 lezioni per il XXI Secolo” dell’israeliano Yuval Noah Harari, pubblicato in Italia da Bompiani. Una sorta di manuale del presente per macrotemi, che vanno dall’immigrazione alla religione, dal lavoro all’idea di civiltà. In tempi di slogan e odiatori, il libro di Harari ha il grande merito di usare una ragionevolezza di stampo razionalista (anche ironica e autoironica, ma senza corrosività, come è giusto che sia in un libro da milioni di copie nel mondo) che gli permette di affrontare questioni globali e urticanti in modo, lo scrivo ma un po’ al tempo stesso provo imbarazzo, gentile. Ma la gentilezza, intesa in senso non solo di galateo ovviamente, è in fondo una delle chiavi per il cambiamento vero, che Harari con le sue lezioni sembra auspicare, prima che sia troppo tardi e gli algoritmi prendano il potere (sta già succedendo, anche in Italia, quindi non si sta parlando di qualcosa di altro o astruso). “Moralità – scrive Harari nella lezione 13. Dio – non significa ‘seguire precetti divini’. Significa ‘ridurre la sofferenza’. Per agire moralmente, non avete bisogno di credere in qualche mito o storia. avete solo bisogno di sviluppare una precisa percezione della sofferenza. Se davvero capite come un gesto possa provocare inutile sofferenza a voi stessi o agli altri, sarà naturale astenervi dal farlo”. Troppo facile? Forse, ma vale la pena di rileggerla più volte, questa frase, e poi pensarci un po’ su.