L”Attila di Chailly e Livermore trionfa alla Prima della Scala

Ovazione per i protagonisti e per il presidente Mattarella

DIC 7, 2018 -

Milano, 7 dic. (askanews) – Ha ottenuto un grande successo l’Attila di Giuseppe Verdi con cui il Teatro alla Scala di Milano ha dato il via stasera alla sua nuova stagione lirica di fronte al capo dello Stato, Sergio Mattarella, accolto alla sua prima Prima da una vera e propria (e del tutto inedita) ovazione durata quasi tre minuti.

I 14 minuti di applausi del pubblico sono il tributo ad un’opera “dimenticata” per troppi anni dopo i fasti risorgimentali, e al suo autore 33enne, ritenuto finalmente non solo moderno e controcorrente ma anche già pienamente maturo. Ma anche un nuovo riconoscimento alla validità del percorso di riscoperta del repertorio italiano meno prevedibile e immediato intrapreso fin dal 2015 dal direttore musicale Riccardo Chailly e dal sovrintendente Alexander Pereira.

Il coraggioso dramma che ruota attorno al sanguinario conquistatore straniero che tutti vogliono morto e che si trasforma in un esempio di virtù e morale di fronte ad un generale romano pronto a svendere il suo popolo, è tornato questa sera in tutta la sua complessità, con un’orchestra, un coro e dei solisti che ne hanno esaltato le raffinate invenzioni melodiche e il pathos costruito sui chiaroscuri. Con una regia, delle scene e dei costumi che hanno perfettamente restituito e amplificato le tinte scure e introspettive di un dramma umano, sociale e politico, che si sviluppa tra naturale e soprannaturale. Il cupo Novecento distopico immaginato da Davide Livermore è di enorme impatto visivo ed emotivo, e il suo essere sospeso ne moltiplica la forza evocativa, ne evidenzia l’inquietudine, ne sottolinea l’attualità da incubo. Bellissime le scene firmate da Giò Forma (in cui si integrano i video di D-Wok a tratti visionari, a tratti didascalici, raramente un po’ “facili”) e i costumi di Gianluca Falaschi, entrambi che si fanno ora quadro, ora film, ora fumetto, magnificamente illuminati da Antonio Castro.

Il basso baschiro Ildar Abdrazakov (alla sua terza Prima scaligera) è un grande Attila, chiamato a restituirne tanto il leggendario impeto che le ombre fatte di paura e dubbio. Come l’ossessione per la vendetta di una controversa Odabella ben resa dalla soprano spagnola Saioa Hernandez al suo debutto al Piermarini. Bene anche il solido tenore trevigiano Fabio Sartori, una certezza nella parte di “Foresto”, il baritono romeno George Petean nelle vesti di Ezio, Francesco Pittari “Uldino” e Gianluca Buratto l’autorevole “Papa Leone”.

Come accadde per Giovanna d’Arco, Madama Butterfly e Andrea Chénier, anche a questo Attila non manca nulla e francamente poco importa se qualche scena sia stata tagliata o modificata rispetto al progetto originario: una provocazione o un presunto “scandalo” l’avrebbero soltanto indebolita. Ha probabilmente ragione Chailly nel dire che l’opera è una macchina complessa e un continuo “work in progress” concepito e finalizzato per restituire al pubblico l’idea e il lavoro del compositore. Anche per questo, il 65enne direttore milanese ha voluto completare l’opera con la romanza “‘O dolore” che Verdi scrisse per “Foresto” per la Prima scaligera del dicembre 1846, e delle cinque battute che Gioacchino Rossini ha inserito prima del terzetto del terzo atto.

Nel palco reale, agghindato con un tripudio di rose dai colori autunnali offerto dagli stilisti Dolce & Gabbana, con il presidente della Repubblica, hanno assistito all’opera il vicepresidente della Corte Costituzionale, Marta Cattabia, la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati e il ministro della Cultura, Alberto Bonisoli che dopo il primo atto ha lasciato il teatro per andare a continuare a seguire l’opera proiettata nel carcere di San Vittore. In platea il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che ha incrociato il suo predecessore Pier Carlo Padoan con cui si è intrattenuto per qualche minuto. Durante l’intervallo, Mattarella si è recato a salutare e a fare i complimenti a Chailly e i cantanti, spiegando che l’opera gli è piaciuta molto.

Come già successo negli ultimi anni, anche a questa Prima si è respirata poca mondanità e, tranne pochi, esibiti, eccessi, il pubblico si è distinto per un’elegante sobrietà. Va sottolineato infine il grande lavoro della Rai che è riuscito ad offrire ai telespettatori in diretta sulla rete ammiraglia persino i cambi di scena tra un atto e l’altro, riuscendo a posticipare persino la messa in onda del telegiornale.