A Roma la mostra “By or of Marcel Duchamp”, c’è anche la Porta

Oltre 100 pezzi esposti alla Galleria Casoli de Luca

OTT 15, 2018 -

Roma, 15 ott. (askanews) – Fino al 22 dicembre, la Galleria Casoli De Luca (Piazza di Campitelli, 2) a Roma ospita la mostra “By or Of Marcel Duchamp or Rrose Sélavy”. La mostra presenta oltre 100 pezzi, tra opere, brochure, inviti, manifesti, libri, e il solo readymade a non aver avuto edizioni successive, restando dunque un pezzo unico, “Porta: 11, rue Larrey” (1927), esposto a Roma per la prima volta in questa occasione.

Elemento strategico nell’appartamento parigino che Duchamp occupava con la moglie, la porta, incardinata tra due stanze, rimanda a un atto di sottrazione che permette all’artista di creare, e che viene “rigenerata” da Duchamp in opera d’arte. Alla Biennale del 1978, scambiata per una comunissima porta, fu ridipinta con una doppia mandata di bianco dagli imbianchini addetti ai lavori di allestimento, risultando in un costosissimo risarcimento al proprietario dell’opera all’epoca dell’incidente.

Uno dei maggiori apporti di Duchamp all’arte contemporanea è l’inserimento e l’utilizzo del fattore caso nel processo artistico. Questo è evidente se si analizza un’opera straordinaria come “La Mariée mise à nu par ses célibataires, même”, anche detta “Grande Vetro”. L’opera è composta da due pannelli di vetro dipinti ad olio, con fogli di argento e di piombo e racconta una storia di amore e desiderio con personaggi inconsueti personificati da macchine meccaniche: una sposa, gli scapoli e i testimoni oculari, che si muovono tra macinatrici di cioccolata, setacci e mulini ad acqua.

Da lui stesso considerata la più importante del suo percorso, iniziato nel 1915 e volutamente lasciata incompiuta nel 1923, durante un trasporto l’opera subì gravi danni, ma l’artista decise di non ripararla dimostrando di accettare la complicità del caso rendendola così una delle opere più enigmatiche del Novecento. A dimostrazione di come Duchamp si preoccupasse di generare una forma d’arte mentale più che visiva, interviene però la sua attività letteraria, che affianca e sostiene l’attività plastica. La “Boîte Verte”, presente in mostra sia nella versione di lusso realizzata in 20 esemplari che nella versione a tiratura più alta, racchiude 93 pezzi tra appunti, scritti, progetti e fotografie per la realizzazione del Grande Vetro, opera che oggi si trova al Philadelphia Museum of Art.

Marcel Duchamp deve essere considerato un innovatore anche per quello che riguarda il tema della riproduzione, spesso in serie, delle proprie opere. Sei anni, dal 1935 al 1941, sono necessari per sviluppare l’idea e realizzare La “Boîte-en-Valise”, anche questa in mostra. 68 pezzi, compresa una piccola versione di “Fountain” e una del readymade rettificato della Gioconda di Leonardo da Vinci con barba e baffi e l’iscrizione “L.H.O.O.Q.” (gioco di parole secondo cui le lettere pronunciate in francese danno origine alla frase “Elle a chaud au cul”), riprodotti in miniatura e resi dunque trasportabili “in valigia”, un catalogo di tutta la sua opera. I temi della riproducibilità e della “portabilità” delle opere, non sono però gli unici messi in campo con la Boîte, infatti questo compendio racchiuso in una scatola richiama fortemente il concetto di album, e di conseguenza di autobiografia. Mettendo da parte quelli che fino ad allora erano i canoni creduti fondamentali per la realizzazione dell’opera d’arte (gusto, stile, ricerca della forma ed intenzionalità), le miniature e le riproduzioni offrono una nuova accessibilità, ad un pubblico più vasto, come se Duchamp avesse creato un piccolo museo portatile e indipendente.

La mostra raccoglie anche uno straordinario insieme di fotografie realizzate da Duchamp, da Man Ray e da Ugo Mulas, e la collezione completa delle acqueforti create dall’artista per illustrare la realizzazione delle singole parti del Grande Vetro e il tema degli amanti, come continuazione del tema, appunto, del Grande Vetro.