Addio allo schermo? Come sta cambiando l’arte contemporanea

Andrea Lissoni ed Emiliano Ponzi tra ambienti, virtuale e Realtà

MAG 21, 2018 -

Milano, 21 mag. (askanews) – E’ stata una delle opere d’arte simbolo degli ultimi anni, premiata alla Biennale di Venezia del 2013 e poi in giro per i musei più importanti del mondo. “Grosse Fatigue” di Camille Henrot sembra per certi versi rappresentare l’opera d’arte perfetta per il mondo contemporaneo, con il suo mix di visionarietà e di enciclopedismo. Eppure quello schermo che è l’elemento costitutivo della sua narrazione, come di quelle di molti altri artisti del nostro tempo, per esempio Christian Marclay o Nathalie Djurberg, oggi, secondo uno dei più importanti curatori d’Europa come Andrea Lissoni, che ha dedicato una vita a studiare le immagini in movimento nell’arte contemporanea prima di approdare alla Tate Modern, sta per scomparire.

“Lo schermo, e lo dico senza malinconia – ha detto Lissoni ad askanews – lo strumento che sta per lasciare spazio all’ambiente. Lo schermo è stato il campo di rappresentazione, come lo era stato la finestra nella pittura o la tela, ma non ci sono più dubbi che come dispositivo sul quale si sono appoggiati le immagini, dopo una trentina d’anni nei quali è stato utilizzato così a fondo dagli artisti, stia per lasciare il campo”.

Dopo averlo visto muoversi all’interno della realtà virtuale, abbiamo pensato di parlare dell’ipotesi di scomparsa dello schermo anche con uno degli illustratori e artisti più in voga, quell’Emiliano Ponzi che continua a esplorare i confini della grafica.

“E’ il concetto della staticità dello schermo – ci ha detto – oggi non pensiamo più allo schermo di una volta, ma piuttosto allo schermo del telefono, dove comunque c’è il libero arbitrio di scegliere che cosa vedere, dove c’è tutto quello che è il mondo dei servizi on demand. Non credo che lo schermo scomparirà, forse in qualche modo anziché essere noi passivi nei confronti dello schermo, è lo stesso schermo che si adatterà al nostro concetto di vita un po’ più dinamico in questo senso”.

Se quindi nella vita ogni cosa è schermo, allora l’arte deve cercare altri territori, altre definizioni o, quanto meno, altre letture di questa realtà che nasce già ulteriormente mediata. E in questo senso le immagini escono dalla loro cornice abituale, prendono possesso di spazi diversi, ricostruiscono, ancora una volta, una realtà differente. Che, quando funziona, ha la capacità di diventare, come direbbero in America, “larger than Reality”, più grande della realtà stessa, qualunque cosa questa parola significhi.

“Mi sembra – ha concluso Lissoni – che la cosa più interessante che artisti come Susan Hiller, per altri versi Philippe Parreno, Joan Jonas, stiano spingendo è il fatto che lo schermo frontale ci sarà sempre di meno e come in Blade Runner le immagini inizieremo a toccarle, ad azionarle, a vederle intorno a noi”.

Incubo o magnifica possibilità? Probabilmente entrambe le cose, ma quando si parla di grandi artisti vale sempre la pena di correre dei rischi, e se incubo sarà possiamo scommettere che sarà anche magnifico.