Chiude Artissima, tra ricerca e mercato: le fiere nuovo standard

Ilaria Bonacossa: oggi punti di riferimento come le biennali

NOV 6, 2017 -

Torino, 6 nov. (askanews) – Che cosa resta di una fiera d’arte. All’indomani della chiusura a Torino di Artissima 24 la prima risposta che è naturale proporre riguarda i numeri dell’evento, che ha visto la partecipazione di 52mila visitatori, 2mila in più rispetto all’anno precedente. Ma, guardando un po’ oltre, a colpire è stata soprattutto la sensazione di dinamicità e di freschezza della fiera, nonché la sempre maggiore consapevolezza del ruolo di questi eventi, che nascono come commerciali, ma che assumono progressivamente un ruolo di riferimento anche per la ricerca. Ilaria Bonacossa, direttrice dell’edizione 2017 di Artissima, ci ha parlato proprio del modo in cui una curatrice con un forte background si è avvicinata all’idea stessa della fiera.

“All’inizio – ha detto ad askanews – avevo anche delle perplessità, è un salto, ma in realtà, pensandoci meglio, ci si rende conto che non ci sono due mondi dell’arte, ce n’è uno solo, ed è un mondo dell’arte in cui musei, critici e gallerie si contaminano e si influenzano, ed è la sinergia del sistema che funziona. quello che è incredibile è che mentre fino a dieci anni fa i protagonisti del sistema dell’arte giravano il mondo inseguendo le biennali, adesso lo fanno inseguendo le fiere che, davvero, offrono in pochissimi giorni uno spaccato internazionale su quello che succede”.

Estremamente interessante poi il fatto che anche le grandi gallerie, per così dire, classiche, del panorama internazionale, usino le fiere come occasione per spingere sul lato della ricerca di nuovi artisti e di nuove strade. Come ci ha confermato Davide Mazzoleni, direttore della sede torinese della storica galleria di famiglia. “Artissima – ci ha detto – è proprio la fiera che ci serve per presentare nuovi progetti, nuovi artisti e soprattutto artisti che magari sono sconosciuti al pubblico internazionale. Qui abbiamo Shigeru Saito che è una scoperta che ho fatto io, un ragazzo giapponese che mi ha fatto subito innamorare del suo lavoro”.

Artissima quest’anno è stata anche l’occasione per celebrare i cinquant’anni dell’Arte Povera, probabilmente il movimento artistico italiano più noto al mondo insieme al Futurismo, cui è stato dedicato uno degli spazi più importanti di tutta la fiera, come il Deposito d’Arte Italiana Presente, che ha raccontato i 24 anni di vita della manifestazione torinese attraverso le opere di 128 artisti, realizzate tra il 1994 e oggi.

Che cosa resta, allora, ci chiedevamo. Certamente il polso di un sistema dell’arte contemporanea molto vitale e di cui Torino continua a essere un polo importante, basti pensare, per esempio, all’inaugurazione delle OGR, Officine Grandi Riparazioni con una mostra memorabile in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ma anche a progetti d’avanguardia come la mostra “Sept préludes” organizzata da Treti Galaxie nei sotterranei della fortezza del Pastiss.

E se poi alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli del Lingotto arriva un artista come l’americano Tony Oursler, è perfino troppo facile chiedere a lui che cosa significhi fare arte nel 2017. “La cosa più bella dell’arte oggi – ci ha risposto – è che è molto inclusiva, non ci sono ‘ismi’ ai quali bisogna appartenere, e a me questo aspetto piace molto, perché non si tratta più di realizzare arte, ma di aprire un’avventura. Quello che succede oggi è molto importante, perché non ci sono modi giusti e modi sbagliati di essere artisti”.

La frase Oursler la pronuncia fuori da Artissima, sebbene a poche decine di metri dai cancelli della fiera, ma a noi sembra che questa definizione funzioni perfettamente e possa in qualche modo riassumere anche il modo in cui Ilaria Bonacossa, il suo team, i galleristi invitati e, perché no, l’intera città, hanno cercato di muoversi nella quattro giorni espositiva torinese.