Padiglione Italia, un mondo magico in tre tempi e una narrazione

La curatrice Cecilia Alemani: immagine di un'Italia diversa

MAG 16, 2017 -

Milano, 16 mag. (askanews) – “Un padiglione alla Biennale richiede che siano compiute scelte, secondo che nel fare queste scelte si abbia coraggio, terzo che si faccia vivere l’opera a fianco degli spazi. Non vado oltre”. Potrebbe forse sembrare implicito, ma in realtà è molto chiaro, il giudizio del presidente della Biennale Paolo Baratta sul Padiglione Italia curato da Cecilia Alemani, una delle note più stimolanti della 57esima Biennale d’arte di Venezia, soprattutto perché riesce a proporre un’immagine diversa e forte, pertinente, di cosa rappresentano alcuni filoni di ricerca portati avanti dagli artisti nel nostro Paese.

“Ovviamente – ha detto la curatrice ad askanews – il Padiglione non vuole dare un ritratto o una panoramica dell’arte italiana, perché sarebbe impossibile, ma penso che attraverso l’approfondimento di questi tre lavori possiamo vedere un’immagine dell’Italia che sia cosmopolita e che sia anche aperta a una lettura della contemporaneità che non finisce semplicemente nel documentario, ma anche al recupero di tradizioni italiane come quelle dell’immaginazione e, spero, anche del magico”.

Dimensioni che hanno ispirato il lavoro di Alemani, che ha mutuato anche il titolo della mostra, “Il mondo magico”, dal più celebre lavoro dell’antropologo Ernesto De Martino, uno dei più lucidi indagatori della persistenza della magia e dei riti arcaici nel mondo moderno. Una persistenza che i tre artisti scelti da Cecilia Alemani – Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey e Giorgio Andreotta Calò – hanno raccontato ciascuno con il proprio linguaggio, ma costruendo una sorta di narrazione comune dal sottilissimo sapore fantascientifico, altro colpo di genio della curatice, capace di mettere insieme lavori che citano dichiaratamente un film come “E.T.” e testi di dottrina cristiana del Quattrocento; battaglie politiche sullo sfruttamento del terreno e tarocchi; impalcature industriali e straordinarie visioni di un altro mondo possibile.

“L’inizio è con Cuoghi – ha spiegato la curatrice – che qui presenta una officina di effigi e sculture che combinano la tradizione dell’arte italiana con la figura del Cristo, ma anche l’innovazione delle tecnologie più avanzate del fare scultura”. Il lavoro di Cuoghi è profondo, a volte faticoso da affrontare e mostra esplicitamente il percorso – in gran parte tecnico-scientifico – che porta alla nascita di una scultura. La drammaticità delle figure, però, e la progressiva scomparsa di parti dei corpi sono contemporaneamente moniti filosofico-religiosi, che aprono quel baratro intorno al quale da millenni si danza tentando di rispondere alle domande sul senso della vita (e anche dell’arte).

Il secondo movimento di questo Padiglione Italia che fa pensare anche a un’idea di sinfonia è quello dedicato ad Adelita Husni-Bey, con uno dei suo classici video, intorno al quale è costruita una coreografia coerente. “Lo spazio – ha aggiunto Alemani – è occupato da una grande proiezione dai toni quasi fantascientifici, ma che tratta sempre di questa polarità tra il mondo più razionale e quello magico, raccontato da dei ragazzi americani”.

L’elemento di magia, in questo caso, è rappresentato da un mazzo di tarocchi e dalle possibili interpretazioni che se ne possono dare, come già ci aveva insegnato Italo Calvino. Accanto a questo, in coerenza con il percorso creativo di Husni-Bey, c’è anche il suo classico (e forse qui un po’ meno interessante) ragionamento politico, legato ai diritti e al possesso del suolo.

“La mostra – ha chiosato Cecilia Alemani – si conclude con lo spazio di Giorgio Andreotta Calò, che ha creato un’immagine, quasi un’immagine miraggio, ma ha trasformato lo spazio esistente, lo ha praticamente duplicato”. Se esistono dei climax, che ovviamente non avrebbero mai voluto essere tali, ma che non possono fare a meno di esserlo, terminare la visita al Padiglione con la salita sui gradini dell’opera “Senza titolo (la fine del mondo)” di Andreotta Calò è uno di quelli. E’ possibile, come ha scritto qualche commentatore, che tutto possa anche essere ridotto a “effetti speciali visivi”, però è possibile anche che questa definizione non tenga conto di molto altro, per esempio di quel modo, magico per l’appunto, di creare una complessità perfetta attraverso un gesto molto semplice, oppure di come un artista possa usare tutto se stesso per diventare architettura, e contemporaneamente generare un’emozione che si moltiplica all’infinito, naturalmente in un gioco di specchi.

Così, il voto finale a questo Padiglione Italia che ha emozionato, lasciamo che a darlo sia il ministro Dario Franceschini, che lo ha commissionato. “Io non sono un critico – ha detto all’inaugurazione – ma darei dieci e lode, perché veramente è emozionate”.