All’origine della danza: il Cantico dei Cantici di Virgilio Sieni

Al Teatro dell'Arte in Triennale a Milano rinnovata una magia

APR 28, 2017 -

Milano, 28 apr. (askanews) – Incontrare la danza di Virgilio Sieni è sempre una esperienza che mette in discussione alcune certezze, o meglio, che ci costringe a guardare all’idea stessa di arte riducendola a termini essenziali e definitivi, attraverso il ricorso a una gestione del corpo intesa come unità minima sulla quale e con la quale costruire una narrazione nuova, insieme antichissima e diversa. La magia si è ripetuta anche con il “Cantico dei Cantici” che la compagnia del coreografo toscano ha messo in scena al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano. Uno spettacolo capace di restituire la dimensione “sublime” del libro biblico attraverso, come sempre, la profonda e radicale gestualità dei ballerini, un elemento primitivo che, però, ogni volta riserva la scoperta di nuove possibilità, costruendo da zero un intero alfabeto del movimento, una nuova cosmogonia della corporeità umana. Senza nessuna concessione alla dimensione che possiamo banalmente definire “spettacolare”, il che garantisce una reale – e non sempre consolatoria – commozione allo spettatore, ospite in un terreno che, contemporaneamente, gli spalanca nuove possibilità e lo trasporta in un luogo ignoto, dentro se stesso.

“È uno scheletro quello che portiamo – aveva spiegato Sieni ad askanews parlando del suo Atlante del gesto – che arriva a noi dal primo uomo, noi includiamo il primo uomo e quindi il senso di lavorare, di possedere, di giocare con le epoche è sempre vivo nel lavoro. Noi includiamo tutte le figure che sono state dipinte o scolpite, quindi il nostro scheletro e la nostra fisiologia le possono veramente mettere in atto”. E ora, a proposito del Cantico dei Cantici, l’artista aggiunge: “La proliferazione continua del gesto tende a creare uno spazio scheggiato dove la danza perduta di uomini e donne, stravolge i corpi che insieme tendono a costruire la fisicità di un luogo primordiale e primitivo. Si odora di origine. Una canzone a due voci che risuona in tutti i corpi”.

Dopo diversi spettacoli – il Vangelo secondo Matteo della Biennale di Venezia, per esempio, o il già citato Atlante del gesto in Fondazione Prada – nei quali l’azione avveniva in ambienti diffusi, attraversati dal pubblico, questa volta il Cantico torna all’unità di luogo classica del palcoscenico del Teatro dell’Arte e anche tale aspetto contribuisce a suscitare l’intensità emotiva di ciò che Sieni ha chiamato il “vuoto sacrale che non nega niente e annuncia qualcosa con le sue membra”.

Quando si torna fuori, nel mondo “vero”, alla fine dello spettacolo, riprendendo possesso di un corpo che per sessanta minuti sembrava averci abbandonato, se si è fortunati si può portare con sé la traccia del ricordo di essere stati in un altrove temporale nel quale il passato e l’ultimo contemporaneo hanno danzato abbracciati.