La disoccupazione che verrà: Josh Kline impacchetta l’umano

In Fondazione Sandretto Re Rebaudengo la mostra "Unemployment"

NOV 30, 2016 -

Torino (askanews) – Una mostra di forte impatto emotivo, capace, in tre momenti, di suscitare nello spettatore reazioni molto diverse. “Unemployment”, la prima personale italiana dell’artista statunitense Josh Kline, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, è un oggetto espositivo diseguale, animato da una forte tensione sociale, che si inserisce nel più vasto scenario di un ciclo di mostre dell’artista che riflettono sui temi economico-politici del nostro futuro. La curatrice Irene Calderoni: “Lui ha studiato cinema – ha detto ad askanews – quindi ha nel suo linguaggio una forte componente narrativa. E’ come uno scenario in 4D, qualcosa da attraversare, da esperire, nel quale ogni immagine si dà nel contesto di uno scenario, di una narrazione”.

“Unemployment”, come dice lo stesso titolo, si concentra sul mondo senza lavoro che potremmo già conoscere negli anni Trenta del nostro secolo. E dunque ecco che le tristemente note scatole che contraddistinguono i licenziamenti in America divengono soggetto d’arte, inserite in inquietanti strutture vitree che sono, a tutti gli effetti, dei virus. Ancora più inquietanti, e d’impatto, i corpi impacchettati che si incontrano nella seconda sala della mostra, metafora di come ci si possa tragicamente trasformare in rifiuti da smaltire, una volta consumato tutto il valore d’uso.

“Queste persone – ha aggiunto Calderoni – sono state fotografate all’interno di un set nel quale sono presenti 80 macchine fotografiche digitali che scattano nello stesso istante producendo un’immagine in 3D della persona, che poi viene stampata in gesso al computer”.

La critica di Kline è forte, ha grande lucidità di analisi, ma, al tempo stesso, non si pone al di fuori del contesto – dove avrebbe preso sfumature ideologiche meno interessanti – e, anzi, la sua ricerca artistica nasce all’interno dello stesso sistema malato che denuncia.

“In pratica – ha proseguito la curatrice – Josh Kline impiega le stesse tecnologie e processi di manifattura che sono al centro della sua disamina critica, quindi di quei processi della società che lui va a indagare, denunciando come fonte della distruzione dell’essere umano nella nostra epoca”.

Come si vede, le due sale vivono di una intensità e di una denuncia dai toni decisamente drammatici. Ma poi, nell’ultima parte della mostra, succede qualcosa e lo spettatore si trova ancora più spaesato davanti a uno schermo. “Il video che chiude la mostra – ha concluso Irene Calderoni – è in effetti una sorta di messaggio pubblicitario, di propaganda vera e propria, per il reddito di cittadinanza, quindi la possibilità di una redistribuzione del reddito come unica chance, così la vedo Josh Kline, per evitare il collasso totale del sistema democratico”.

La curatrice ci assicura che Kline non volesse in nessun modo essere ironico con questo video, ma solo sostenere con convinzione la propria proposta politica. Nell’ottica di chi visita la mostra continuiamo però a pensare che sia possibile leggere questo video anche come una ulteriore conferma del fatto che non sia possibile uscire dal linguaggio del Sistema e quindi, forse neppure dal Sistema stesso. Ma quello che conta, qui nella Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ma in generale di fronte al lavoro artistico, è lo stupore che riesce ancora a coglierci quando i pezzi funzionano. E nel caso di Josh Kline non abbiamo dubbi.