Economia sociale, Euricse-Istat: valore aggiunto di 49 mld euro

Reso noto Rapporto di ricerca 2021

MAG 11, 2021 -

Roma, 11 mag. (askanews) – L’economia sociale in Italia è costituita da 379.176 organizzazioni con un valore aggiunto complessivo di oltre 49 miliardi di euro, 1,52 milioni di addetti e più di 5,5 milioni di volontari. Rispetto al settore privato, l’economia sociale rappresenta l’8% delle organizzazioni, il 6,7% del valore aggiunto, il 9,1% degli addetti e il 12,7% dei dipendenti. Peso su valore aggiunto e addetti che sale ulteriormente, rispettivamente, al 7,0% e al 9,4% se si includono anche le società di capitali controllate dalle cooperative al vertice di un gruppo d’impresa. Questi alcuni dei dati più significativi contenuti nel nuovo Rapporto Euricse-Istat 2021 sull’economia sociale nel nostro paese. Un rapporto che prende in esame le associazioni, le cooperative, le mutue, le fondazioni e le altre istituzioni no profit come le imprese sociali, su dati 2015-2017. Guardando all’intera economia italiana, mette in rilievo il Rapporto, ovvero considerando sia la parte pubblica che quella privata, il contributo delle Organizzazioni dell’ economia sociale (OES) alla formazione del valore aggiunto nazionale è del 3,4% (3,5% includendo le controllate). In particolare, il maggior peso dell’economia sociale si registra nel Nord-Est e nel Centro con rispettivamente il 4% e il 4,3%; nelle regioni meridionali, invece, la percentuale scende al 2%.

Il 75,7% delle OES è costituito in forma di associazione. Le cooperative, prosegue il Rapporto Euricse-Istat, rappresentano invece il 15,6% delle unità. Tuttavia, se si considera il peso economico, le proporzioni si invertono: sono le cooperative a contribuire maggiormente alla formazione del valore aggiunto dell’economia sociale con una quota del 60%, pari a 28,6 miliardi di euro. Le cooperative sono anche il principale bacino occupazionale dell’economia sociale: impiegano oltre i tre quarti degli addetti (1,15 milioni di cui 380 mila nelle sociali e 771 mila nelle altre).

Le OES operano in tutti i settori di attività, con una concentrazione numerica maggiore nei settori delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento (37%) e degli altri servizi (35%), attività tipiche delle istituzioni non profit. Sebbene più distanziato, il settore successivo per consistenza numerica è quello della sanità e assistenza sociale (11,3%). Quest’ultimo settore è però il più rilevante dal punto di vista economico: le OES che vi operano generano un valore aggiunto pari a 12,7 miliardi di euro (25,9% del totale). La sanità e assistenza sociale con più di 445 mila addetti (29,3%), i servizi di supporto alle imprese con quasi 224 mila addetti (14,6%) e il trasporto e magazzinaggio con più di 200 mila (13,6%) si confermano i settori più rilevanti anche sul fronte dell’occupazione.

Rispetto all’intera economia privata, dal punto di vista del numero di organizzazioni, l’incidenza maggiore si riscontra nei settori degli altri servizi (64,8%), della ricreazione, sport e cultura (48,1%) e dell’istruzione (17,1%), e cioè nei settori dove prevalgono le forme organizzative di tipo associativo.Roma, 11 mag. (askanews) – Spostando invece l’attenzione sul valore aggiunto e sull’occupazione, il settore dove le OES sono di assoluta rilevanza è quello dell’istruzione (che rappresenta oltre il 60% del valore aggiunto e degli addetti dell’economia privata), seguito dai settori degli altri servizi (71% del valore aggiunto, 23,3% degli addetti), della sanità e assistenza sociale (35,9% del valore aggiunto, 45,1% degli addetti) e delle attività culturali, sportive e ricreative (25,3% del valore aggiunto, 21% degli addetti). A livello regionale, invece, oltre il 15% delle OES è concentrato in Lombardia, circa il 10% nel Lazio e l’8% in Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna. La distribuzione del valore aggiunto per regione delinea una maggiore capacità di generare reddito da parte delle organizzazioni attive nelle regioni del Nord che, pur rappresentando il 49,4% del totale delle OES, producono il 59% del valore aggiunto complessivo. In particolare, oltre un terzo del valore aggiunto totale è prodotto in due regioni: in Lombardia (22%) e in Emilia-Romagna (15%). ‘L’economia sociale contribuisce alla formazione dei redditi e dell’occupazione dei sistemi economici regionali in modo diverso’, si legge ancora nel Rapporto sull’economia sociale, ‘in Emilia-Romagna, Umbria, Sardegna, Molise e Puglia, caratterizzate da un peso delle OES sul valore aggiunto dell’economia privata intorno al 10%, il contributo delle cooperative è predominante. Le cooperative dell’Emilia-Romagna, infatti, contribuiscono al valore aggiunto della regione con il 9,3% (il resto delle OES con l’1,3%), quelle dell’Umbria con l’8,5% (1,8% per le altre OES), in Sardegna con il 6,7% (2,4% per le altre OES). ‘Ancora più evidente è l’apporto delle OES – soprattutto delle cooperative – al numero complessivo dei dipendenti delle imprese private nelle singole regioni. In particolare, i dipendenti delle OES di Emilia-Romagna, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Molise, Umbria e Basilicata contribuiscono a circa il 15% del numero complessivo di dipendenti delle imprese private e, in queste regioni, il peso dei dipendenti delle cooperative risulta sempre superiore all’11% del totale regionale (in particolare in Emilia-Romagna il 18,6% di dipendenti è impiegato da cooperative)’.

Il 41,3% delle OES presenta un orientamento market, ovvero vendono ad altri tutto o gran parte di ciò che producono ad un prezzo economicamente significativo. Questa componente impiega il 93,9% di addetti dell’economia sociale e genera circa il 90% del valore aggiunto complessivo. Diversamente, le OES non market – che offrono gratuitamente beni e servizi prodotti o li vendono ad un prezzo ‘calmierato’ – impiegano meno addetti (il 6,1% del totale), avvalendosi prevalentemente di personale non retribuito (63,8% dei volontari attivi nell’economia sociale), e generando poco più del 10,1% del valore aggiunto dell’intero settore.

Nell’85,5% delle istituzioni non profit italiane la fonte di finanziamento principale è di provenienza privata, mentre nel 14,5% dei casi prevale quella pubblica. Le organizzazioni che utilizzano maggiormente fonti di finanziamento pubblico sono presenti soprattutto nei settori della sanità (48,2%) e dell’assistenza sociale e protezione civile (33,4%).Roma, 11 mag. (askanews) – Il ricorso a entrate di natura privata è più diffuso invece tra gli enti che operano nei settori della religione (97,8%), delle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (94,6%), della cooperazione e solidarietà internazionale (89,6%).

Le donne rappresentano il 57,2% dei dipendenti delle OES contro il 39,2% nelle altre imprese. Le OES si caratterizzano per un livello di istruzione superiore rispetto a coloro che lavorano nelle altre imprese: i dipendenti laureati sono il 21,4% nelle prime e inferiori al 15% nelle seconde. Inoltre, il 54,1% dei dipendenti delle OES ha un contratto a tempo pieno, mentre nelle altre imprese la percentuale è significativamente più elevata (73,2%). La maggior presenza di lavoratori part-time può essere spiegata come conseguenza del maggior peso della componente femminile sul totale occupati OES e quindi di una probabile conciliazione dei tempi di vita tra impegni familiari e lavorativi, oltre che dalla concentrazione in determinate attività economiche.

L’evoluzione dell’economia sociale negli anni più recenti segnala, dal 2015 al 2017, una dinamica positiva sia del numero di organizzazioni (+4,2%), passate da 379.176 nel 2015 a 394.968 nel 2017, sia del numero di dipendenti (+3,5%), passati da 1,49 a 1,55 milioni. A fronte dell’incremento medio nazionale, la dinamica delle OES nelle regioni risulta tuttavia molto diversificata. Per quanto riguarda il numero delle organizzazioni, la crescita maggiore si registra in alcune regioni meridionali, in particolare in Molise, dove l’incremento tra il 2015 e il 2017 è risultato superiore al 14%, e in Calabria, Basilicata e Campania (con aumenti superiori all’8%).

L’ultima parte del Rapporto è dedicata a focus settoriali su sanità e assistenza sociale, istruzione e formazione, cultura, sport e ricreazione. L’analisi evidenzia che il processo di policy making a livello degli enti territoriali e locali ha prodotto un welfare a geometria variabile in cui cambia l’apporto di amministrazioni locali, mercato ed economia sociale e che restituisce una rappresentazione di quest’ultima che va oltre la tradizionale separazione tra Nord e Sud del Paese.