Covid, Cittadinanzattiva: più pubblico ma non posti letto

Epidemia ci ha insegnato che vero presidio sanitario parte da casa

MAG 10, 2021 -

Roma, 10 mag. (askanews) – Un circuito virtuoso che preveda un nuovo protagonismo del pubblico ma con una rivoluzione copernicana. Un nuovo sistema di salute e sicurezza pubblica che veda la casa e il nucleo familiare come primo avamposto per la prevenzione e la scuola come centro di socialità intergenerazionale. Questa la ricetta di Cittadinanzattiva per la ripresa post-pandemia su temi sensibili come la sanità, la cura della persona, la socialità. A parlarne con Askanews è il segretario regionale di Cittadinanzattiva, Elio Rosati. “Innanzitutto una premessa: in una situazione di miglioramento almeno per quando riguarda i dati epidemiologici occorre dire chiaro a tutti che il Covid sarà un fatto che ci trascineremo per anni e come per altri fenomeni del genere si andrà cronicizzando. Insomma ci convivremo e riusciremo, col tempo, a gestirlo in modo più normale. Leggo di Aziende farmaceutiche che stanno sperimentando delle pasticche che sostituiranno il sistema dei vaccini per far sì, nel concreto, che potremo gestire il Covid in farmacia e, quindi, da soli da casa. Ma il virus resterà su piazza. Insomma, la portata epocale del Covid è stata l’occasione per mettere in chiaro che un modello di sviluppo ha fallito, quel modello economico tutto incentrato sulle teorie neo-liberiste. In tema di organizzazione dei servizi sanitari questo ci porta a superare, e anche al più presto, le scelte fatte 25 anni fa soprattutto da alcune regioni di puntare sull’ospedalizzazione del sistema, togliendo risorse ai territori, come si è fatto, ad esempio, in Lombardia. Oggi questo approccio fa pagare il suo conto salatissimo per vite umane perse, in termini di servizi e di futuro laddove, in quei territori, dovrà essere ricostruito molto”. D. – Ma quale è il sistema che voi intravedete per il futuro. ROSATI – “Sono 15 anni che nel nostro paese è il rapporto tra cittadino e accesso ai servizi sanitari a costituire il punto dolente. C’è bisogno ormai di fare una quarta riforma sanitaria nazionale per rimettere al centro il territorio. Noi sono anni che abbiamo individuato questa strada e mi fa una certa positiva impressione ascoltare oggi addirittura il presidente Mario Draghi parlare esplicitamente di ‘ospedali di comunità’. Sono stati spesi miliardi negli anni sull’innovazione sanitaria senza produrre uno straccio di effetto. Guardate, ad esempio, gli euro impiegati per produrre il famoso ‘Fascicolo sanitario elettronico’ del cittadino. Risultati? Zero…”. D. – Si spieghi meglio. ROSATI – “Il cosa fare da oggi anche con i fondi provenienti dal Recovery mi sembra ovvio: occorre realizzare finalmente un modello sostenibile, su misura e personalizzato sulle necessità individuali. Nel momento in cui, anche per questioni numeriche, il nostro paese deve orientarsi ad affrontare con serietà il tema degli anziani pluripatologici, la risposta non può proseguire ad essere quella dell’ospedalizzazione ma dello sviluppare servizi territoriali efficienti e studiati. Sono il domicilio e la famiglia i primi presidi pubblici. Anche per questo occorre finalmente fare una politica per la famiglia messa al centro dell’agenda. Fino ad oggi non si è invece fatto ma, mi lasci passare la battuta, si è preferito fare gli interessi non di tutet madi poche famiglie. Questa sarebbe una vera riforma copernicana perché investirebbe direttamente realtà come la scuola o i trasporti pubblici. Si tratterebbe di creare una circolarità virtuosa che parte dalla famiglia per transitare per i presidi territoriali, per finire alla post-acuzie finalmente restituita al pubblico, dove oggi i centri riabilitativi sono di fatto stati consegnati al privato con costi altissimi per le famiglie. Gli ospedali, insomma, sono solo una delle maglie di questa catena”. Roma, 10 mag. (askanews) – D. – Eppure ancora oggi al centro dei ragionamenti restano i posti letto negli ospedali o nelle Rsa. ROSATI – “Questo grazie ad un sistema che si è dimostrato sbagliato quando non perverso. Non esito a dire che il tema delle diseguaglianze si combatte rimettendo al centro il pubblico che non è il posto letto in ospedale, ma un percorso che ti porta dalla casa, al presidio sanitario quando necessario, fino – come detto – alla riabilitazione. Mi pare che al pubblico sono rimaste, invece, le situazioni più onerose e meno remunerative mentre al privato è stato gentilmente donato di fare cassa come nel caso, ad esempio, dell’odontoiatria”. D. Come realtà della cittadinanza vi siete battuti sempre per l’introduzione del medico scolastico… ROSATI – “Certo. E’ una questione che rientra in questa logica. Pensate cosa vorrebbe dire non tanto la figura di un solo medico ma quella di una equipe multidisciplinare per la prevenzione e l’educazione sanitaria. In Italia ci sono almeno 44mila edifici scolastici sull’intero territorio. Vi immaginate quale antenna capillare rappresenti?”. D. Torniamo sui posti letto ospedalieri. E’ una battaglia che si può vincere? ROSATI – “I posto letto sono diventati, negli anni, uno scambio clientelare ed è da qui che nasce ogni distorsione. Le riporto uno studio condotto con la Sineu (i medici di pronto soccorso, ndr) nel 2019 al quale hanno partecipato 24 pronto soccorso primari, dal Policlinico Gemelli all’Umberto I di Roma. I dati hanno messo in rilievo che il 64% degli interventi di Pronto soccorso ospedaliero, cioè 720 mila accessi, erano Codici bianchi con attese negli ospedali fino a 12 ore. Mi pare un indicatore clamoroso. Il tema della medicina territoriale non deve essere legato alle convenzioni con i professionisti ma bisogna discutere anche di questioni più serie, come già detto sistemiche, che non sono certo il taxi pagato o il gettone per il medico della mutua che effettua un vaccino. Anche la presa in carico non ospedaliera di una persona non deve essere rallentata o evitata per la paura delle cause o dei ricorsi. Il Tribunale per i diritti del malato ha censito in quasi il 95% l’infondatezza delle documentazioni medico-legali fornite dai cittadini su presunti errori medici. Il problema, anche in questo caso va studiato bene. Secondo le nostre analisi, questo fenomeno risiede nel rapporto e nella comunicazione medico-paziente. Il 36% dei nostri assistiti segnala un rapporto pessimo con i sanitari siano essi ospedalieri che medici di base. Purtroppo il rapporto tra medico e paziente è perso e va ricostruito. Ormai c’è dottor Google a farla da padrone e questa è una questione seria”.