##Caos dati vaccini, quando la burocrazia dà i numeri

Bassi: abbiamo competenze ma usiamo tecnologia arretrata

GEN 29, 2021 -

Milano, 29 gen. (askanews) – Mentre alcune inchieste giornalistiche negli ultimi giorni hanno già documentato numerosi casi di vaccini somministrati a persone che non ne avevano diritto in questa fase, fa discutere il nuovo caso di difformità nella raccolta dei dati relativi al tema Covid, in questo caso proprio sulle vaccinazioni, con il botta e risposta tra la Fondazione Gimbe e la Regione Lombardia sull’alto numero di vaccini che sarebbero stato somministrati a personale non sanitario, il 51 per cento del totale, e che – questo il sospetto – non ne avrebbe avuto diritto in questa fase iniziale. Circostanza (e cifra) però subito smentita dalla Regione Lombardia, secondo cui la ricostruzione della Fondazione Gimbe “non è coerente con l’attività vaccinale realmente svolta e comunicata al ministero della Salute da Regione Lombardia”. La Regione ha affermato in una nota ufficiale non solo di aver effettuato 256mila vaccini, di cui solo il 21,1 per cento ad operatori non sanitari ma anche che “il personale vaccinato rientra nelle categorie indicate dalla struttura commissariale per la prima fase della campagna”. Tutto chiarito, dunque? No, perché rimangono sullo sfondo le notevoli differenze tra le Regioni nella distribuzione per categorie dei pochi fortunati che hanno già ricevuto il vaccino rilevata dalla Fondazione diretta da Nino Cartabellotta e la discrepanza dei dati pubblicati dalla piattaforma online del ministero (utilizzata dalla Fondazione Gimbe) rispetto a quelli comunicati dalla Regione Lombardia.

“In realtà, il ministero della Salute non si inventa i dati come se fossero numeri estratti al Lotto, ma usa semplicemente i dati inviati dalle Regioni – spiega il vicepresidente dell’Università svizzera italiana Davide Bassi, che cura l’autorevole blog ‘I numeri del coronavirus’ – Quando i dati diffusi a livello ministeriale sono discordanti rispetto a quelli reali ci possono essere solo due ragioni: 1. le Regioni si sono dimenticate di aggiornare i dati; 2. Le Regioni hanno inserito dati sbagliati a causa di errori materiali (iniziando da banali errori di battitura fatti dalla persona che compila materialmente i form ministeriali) oppure i dati sono stati intenzionalmente modificati per eludere i controlli ministeriali”.

Si tratta, secondo Bassi, di un problema di un sistema di raccolta dati sulla pandemia che è inadeguato perché tecnologicamente arretrato. “In particolare – è la spiegazione, per certi versi sorprendente – ci sono troppi passaggi manuali che, oltre ad uno spreco immenso di tempo e denaro, sono anche alla base di molti errori che vanno ad incidere pesantemente sulla qualità dei dati”. L’ex rettore dell’Università di Trento invita a domandarsi “perché, a quasi un anno dall’inizio della pandemia, stiamo ancora lavorando con fogli Excel ed altri strumenti informatici inadeguati rispetto ai reali bisogni”.

Eppure l’Italia, sottolinea Bassi, “ha abbondanza di competenze qualificate che avrebbero potuto costruire un sistema di raccolta e prima analisi dei dati rapido, efficace ed economico. Oltre ad avere dati migliori, avremmo ridotto drasticamente le risorse che oggi sprechiamo per pagare burocrati di scarsa utilità e che potrebbero essere dirottate verso i settori operativi della Sanità”. Ed è questo, secondo Bassi, il punto debole del sistema: “La nostra burocrazia ridondante e arretrata tecnologicamente” che “preferisce utilizzare strumenti tecnologici arcaici anche perché, se arrivassero gli esperti di big data e di intelligenza artificiale, molti posti inutili e molto ben pagati verrebbero spazzati via”. “Uno Stato moderno ha bisogno di una burocrazia snella e produttiva – prosegue – che sappia utilizzare le tecnologie più avanzate e che si preoccupi di dare efficienza al sistema invece di aiutare il politico di turno ad eludere le leggi”.