Campagna di vaccinazioni, a questi ritmi immunità di gregge nel 2023

La proiezione del professor Manca, del Politecnico di Milano

GEN 15, 2021 -

Milano, 15 gen. (askanews) – E’ corsa contro il tempo per la vaccinazione anti-Covid in Italia. Il rischio, al ritmo attuale, non è solo che bisognerà attendere anni, e non mesi, per raggiungere l’obiettivo dell’immunità di gregge fissato per la fine dell’estate, ma anche che la capacità di produzione e di somministrazione dei vaccini non tenga il passo della più rapida diffusione delle varianti del coronavirus già in circolazione, come quella inglese. Con una probabilità di selezionare varianti immuno-resistenti che cresce quanto più si allunga nel tempo la campagna di vaccinazione.

Occorreranno in Italia ancora due anni e 159 giorni, con il ritmo di somministrazione del vaccino registrato nelle prime due settimane della campagna vaccinale, per arrivare ad un effetto di immunità di gregge (in questa proiezione è stato scelto il 67 per cento della popolazione, circa i due terzi della popolazione). Il calcolo è stato effettuato – ipotizzando che il 50 per cento dei vaccini sia somministrato del tipo che prevede una sola dose e l’altro 50 per cento del tipo in due dosi – dal professor Davide Manca, professore di Sistemi di Processo del Politecnico di Milano e autore del “Bollettino di analisi dati e dinamica evolutiva Covid-19 – Seconda ondata”, che quotidianamente raccoglie ed elabora i dati ufficiali sulla diffusione del coronavirus e sulle vaccinazioni. Per la copertura del 100 per cento della popolazione occorreranno, sempre al ritmo di queste prime settimane, quasi 5 anni, per la precisione 4 anni e 319 giorni (considerando due dosi vaccinali per persona).

Questi calcoli non tengono conto del prospettato arrivo di nuovi vaccini. Ma si tratta, precisa Manca, di una proiezione “che evidenzia quanto sia importante sia aumentare il ritmo delle somministrazioni, sia che i vaccini prenotati (come quello di Astra-Zeneca, in 40 milioni di dosi per il 2021 ndr) ricevano effettivamente il via libera dalle autorità regolatorie ed effettivamente siano prodotti e consegnati nei tempi previsti”.

Per Astra Zeneca, l’Ema si pronuncerà il 27 gennaio. Allo stato, l’Italia sta somministrando solo i vaccini Pfizer-Biontech e Moderna.

Che dovrà esserci un cambio di passo ne ha parlato apertamente anche in audizione in Commissione sanità lombarda Giacomo Lucchini, responsabile della campagna vaccinale anti Covid per la Regione Lombardia, affermando che “occorrerà dopo la prima fase, che si concluderà a febbraio, raddoppiare la disponibilità di dosi e la capacità di somministrazione”. Un aumento che non appare però sufficiente: il raggiungimento dell’immunità di gregge, in questo caso, si raggiungerebbe ad aprile 2022. Una data molto distante dalla previsione fatta solo il 3 dicembre scorso dal Commissario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, secondo cui a settembre 2021 “saremo potenzialmente in condizione di vaccinare la totalità della popolazione”.

Oggi l’obiettivo del governo è di vaccinare 21,5 milioni di persone entro fine maggio/giugno. Il commissario Arcuri ha appena annunciato l’impiego, dalla prossima settimana, di altri 1.500 medici e infermieri per la campagna di vaccinazione. Basteranno per una significativa accelerazione? Lo stesso commissario ha spiegato che l’Italia sta cercando attraverso l’Unione europea di acquistare più dosi perché “non è sufficiente vaccinare 30 milioni di italiani in un anno”, tenendo conto delle quantità prenotate (60 mld di dosi per l’intero 2021) dei due vaccini finora disponibili, in attesa dei 40 milioni che arriverebbero da Astra Zeneca, che comunque non sarà disponibile prima di marzo. Senza Astra Zeneca, però, non si raggiungerà l’obiettivo di 21,5 milioni di vaccinati a giugno, ma al massimo di 11 milioni di persone. L’Italia ha anche opzionato 53 milioni di dosi del vaccino Johnson e Johnson, che deve ancora però essere validato.

Per alcuni osservatori, come l’ex direttore di Repubblica Mario Calabresi, “ci vuole il coraggio di dire la verità, perché se arriva una variante per cui i vaccini non funzionano, bisogna cominciare da capo”, ha detto a Piazza Pulita su La7, per cui l’unica soluzione è “chiudersi in casa per quattro settimane e fare non 60mila vaccinazioni al giorno come adesso ma tre volte tanto”. Sulla stessa linea il professor Andrea Crisanti: “Bisogna comunque abbattere la trasmissione del virus: non è successo mai nella storia di campagne di vaccinazione fatte partire durante l’epidemia. è la ricetta per selezionare varianti resistenti.

Bisogna ridurre il numero dei positivi”, in altre parole “fare un resetting per tre o quattro settimane e poi vaccinare a palla”.

Il ritmo della campagna vaccinale è influenzato da diverse variabili. Oltre all’approvvigionamento, va tenuto conto della grande differenza tra le regioni della capacità di somministrazione. La sfida sarà mantenere alti questi livelli, tanto che con le Regioni anche parlato di incrementare i punti di somministrazione dei vaccini. La Calabria, ad esempio, è molto lenta, mentre le più veloci per ora sono risultate Campania, Umbria e Val d’Aosta. Inoltre, in questo momento la vaccinazione avviene in un contesto favorevole ed organizzato: le strutture sanitarie. Con un’operatività che spesso è sulle 24 ore. Ma un conto è vaccinare in ospedale, un altro è farlo su tutta la popolazione, compresi gli ultraottantenni. Si richiedono capacità operative e logistiche ben maggiori. Infine, per raggiungere l’immunità di gregge, è necessario evitare che si diffonda un approccio ideologico no vax. “Continuiamo a lavorare perché ci sia la più ampia adesione alla campagna di partecipazione – ha detto Arcuri – L’immunità di gregge non si raggiunge solo con tanti vaccini, ma anche se le persone si vogliono vaccinare”. (Di Marco D’Auria) Mda/Int2