Civiltà cattolica: Biden non cambierà radicalmente politica estera

Per gli Usa sempre più difficile fa gestire il fardello imperiale

NOV 19, 2020 -

Città del Vaticano, 19 nov. (askanews) – Con la presidenza di Joe Biden non ci sarà “uno ‘stravolgimento’ della vita politica ed economica della più grande potenza del Pianeta, né un cambiamento radicale nell’indirizzo geopolitico degli Usa riguardo alle grandi questioni internazionali che agitano il mondo”, secondo la Civiltà cattolica.

“Non dobbiamo pensare, come a volte è stato anche detto, che avremo uno ‘stravolgimento’ della vita politica ed economica della più grande potenza del Pianeta, né un cambiamento radicale nell’indirizzo geopolitico degli Usa riguardo alle grandi questioni internazionali che agitano il mondo”, scrive padre Giovanni Sale nel prossimo fascicolo del quindicinale dei gesuiti stampato con l’imprimatur della Segreteria di Stato vaticana. “Non va dimenticato che alcune importanti decisioni in politica estera – come ad esempio il parziale ritiro dell’esercito americano da diversi teatri di guerra mediorientali – iniziarono già al tempo della presidenza Obama e continuarono con Trump. Essendo diventato di fatto l’unico egemone globale dopo la scomparsa dell’Urss, gli Stati Uniti vivono sulla loro pelle la difficoltà di gestire, in un mondo che sta diventando sempre più difficile da controllare, il cosiddetto ‘fardello imperiale’. Questa fatica è tipica di chi si trova in solitudine sulla vetta del mondo da almeno tre decenni”.

La rivista diretta da padre Antonio Spadaro spiega che il presidente eletto Biden “è parte, come si dice, dell’establishment. Dopo Kennedy, è il secondo presidente degli Stati Uniti di confessione cattolica. Pur essendo praticante, egli non ha mai utilizzato la propria appartenenza religiosa per motivi di propaganda politica, o per ‘accaparrarsi’ il voto dei latinos, che peraltro non è così unitario come si crede. In un tempo di sbandamento e di caos, Biden rassicura; sembra essere capace di tenere saldi alcuni princìpi che sono nella natura della democrazia statunitense. Questo ne ha determinato la vittoria”. Quanto a Donald Trump, la sua retorica di America first aveva, in realtà, “radici nel populismo che aveva dominato nella seconda metà dell’Ottocento le regioni dell’Ovest, in contrapposizione ai gruppi economici della costa orientale. Trump, strategicamente, rimetteva in circolazione tali princìpi, che sembravano appartenere a un mondo ormai passato, volendo sollecitare le pulsioni xenofobe dei gruppi sociali emarginati – che ancora vivevano nel ventre dell’America profonda, in particolare negli Stati della rust round, dimenticati e disprezzati dalle oligarchie di Washington -, che nel 2016 gli diedero la vittoria. Ma nelle elezioni del 2020, in molti di questi Stati gli operai e i ceti medi bianchi hanno preferito votare Biden”.

Peraltro, nota la Civiltà cattolica, dopo le elezioni e le accuse di brogli “diversi network televisivi hanno oscurato le esternazioni di Trump. Il che non è una bella notizia per un Paese civile e democratico, che per decenni ha esportato nel mondo il suo stile di vita”.

Ma tornando ai cambiamenti possibili, o a quelli improbabili, “in ambito internazionale, Trump, sospinto dal nazionalismo di America first, ha capovolto l’internazionalismo interventista delle precedenti amministrazioni, che, seppure in modo controverso, avevano consolidato la leadership statunitense in ogni parte del mondo”. Ma, appunta padre Sale, “malgrado tutti gli ‘scossoni’ causati dalla sua politica, Trump non è riuscito a modificare in modo sostanziale l’odierno sistema geopolitico globale. Di fatto, malgrado le schermaglie verbali degli ultimi anni, gli Usa sono rimasti nella Nato; i militari americani, che avrebbero dovuto lasciare le loro postazioni in Germania e in Italia, sono ancora al loro posto. La Corea del Nord, nonostante gli incontri di propaganda tra i due leader, resta una minaccia contro gli Usa e gli altri Paesi vicini. Il pericolo cinese, più economico che militare, rimane invariato e lo sarà ancora per lungo tempo”.

E se “probabilmente Biden, nei suoi primi 100 giorni di presidenza, si affretterà a riprendere i contatti con Parigi per guadagnare il terreno perso in materia di clima e di riscaldamento globale22; con Teheran per riconfermare, con qualche importante ritocco, l’accordo sul nucleare; e con l’Organizzazione mondiale della sanità, al fine di combattere insieme, a livello globale, il Covid-19”; e “a loro volta, gli alleati tradizionali della Nato si sentiranno rassicurati dal nuovo Presidente democratico e decisamente filo-atlantista, che continuerà nella tradizionale politica euro-atlantica dei suoi predecessori”; e, nota il gesuita, “tutto ciò farà la differenza” e “non è poca cosa”; tuttavia, “sulle questioni internazionali più urgenti e complicate, come il Medio Oriente, Biden accetterà senza troppi problemi le soluzioni avviate da Trump, come la normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi. La nuova amministrazione Usa, inoltre, proseguirà nella ‘linea dura’ contro la Cina, sostenuta da entrambi gli schieramenti politici americani. Cambierà probabilmente il tono del confronto e ci sarà una maggiore disponibilità degli statunitensi per accordi commerciali vantaggiosi per entrambi”.

La politica interna degli Usa, invece, “è destinata a mutare più profondamente con la nuova amministrazione”, prevede la Civiltà cattolia, a partire dall’emergenza covid e dall’emergenza economica, ma poi “uno dei punti più interessanti del programma Biden riguarda l’estensione del diritto di cittadinanza ad alcune categorie di immigrati, in particolare ai cosiddetti dreamers, giovani che sono arrivati negli Usa quando erano ancora bambini e che vivono sotto la minaccia di essere rispediti nel loro Paese di origine, dove non hanno più radici. Un’altra promessa è quella riguardante il delicato problema del ‘ricongiungimento familiare’, che coinvolge persone e famiglie che sono state brutalmente separate durante gli arresti alla frontiera messicana. Sono problemi che interpellano l’autorità politica e che devono essere risolti al più presto, al fine di limitare la conflittualità sociale e garantire la sicurezza pubblica”.

“Fin dall’inizio – conclude padre il notista della Civiltà cattolica – Biden si è presentato come ‘il Presidente della transizione’, capace di guidare gli Stati Uniti in questa fase difficile e di un costruire un ponte per il futuro. Una presidenza capace di unire un Paese politicamente diviso e incattivito da una campagna elettorale molto aspra e accesa e, allo stesso tempo, di ridare forza e vitalità alle istituzioni della più grande e antica democrazia esistente sul Pianeta”.