Vaticano, disfida su finanze e credibilità dietro il caso Becciu

Bilanci, Moneyval, pandemia. Codice appalti e squadra del Papa

SET 26, 2020 -

Città del Vaticano, 26 set. (askanews) – Dietro la clamorosa defenestrazione del cardinale Giovanni Angelo Becciu si staglia una questione di ampia portata, un nodo ancora irrisolto del pontificato, che la vicenda personale del porporato sardo esemplifica, ma non esaurisce, ed è la disfida sulla credibilità e sulle finanze del Vaticano.

Bisogna riavvolgere il nastro sino alla vigilia del Conclave che elesse Jorge Mario Bergoglio, nel marzo del 2013: pedofilia, documenti del pontefice trafugati e pubblicati (vatileaks), scandali finanziari a ripetizione (le indagini sullo Ior, lo scontro con Banca d’Italia e procura di Roma, gli immobili di Propaganda fide dati in affitti sospetti, l’opacità dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, le malversazioni nella sanità cattolica, i guai dei salesiani…) avevano marcato gli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI. I cardinali giunti a Roma da tutto il mondo dopo l’epocale rinuncia del Papa tedesco imposero alle discussioni che precedettero il Conclave un’agenda riformatrice: bisognava eleggere un Papa estraneo alla Curia romana, che rilanciasse il ruolo della Chiesa cattolica nel mondo, e restituisse credibilità al Vaticano, magari tagliando qualche testa.

Jorge Mario Bergoglio era l’uomo perfetto, ma il compito era immane. Con intelligenza, evitò la trappola di rinchiudere il pontificato in una lotta agli scandali, e rilanciò. Forte di un carisma non comune, e di una non comune visione strategica, l’arcivescovo di Buenos Aires assurto alla cattedra di San Pietro mise mano alla riforma della macchina curiale, ma squadernò un’agenda – spirituale, politica, culturale – ben più ampia, dal tema delle migrazioni a quello dell’ecologia, dai sinodi al ruolo dei laici, dalla svolta sulla pastorale famigliare a quella sulla pena di morte. Gli scandali, tuttavia, lo hanno rincorso. Di nuovo i vatileaks, di nuovo casi di pedofilia, di nuovo problemi con i soldi.

Un primo tentativo di riformare le finanze vaticane è naufragato. Papa Francesco lo aveva affidato al cardinale George Pell, porporato australiano che fin dai giorni successivi al Conclave aveva rivendicato di aver convogliato un drappello di cardinali conservatori sul nome di Bergoglio con la certezza che l’argentino avrebbe appoggiato una riforma del settore. Non tutti i cardinali italiani erano coinvolti negli scandali, ma non c’era scandalo che non coinvolgesse un cardinale italiano: e Pell voleva fare piazza pulita. Il Vaticano, disse, deve diventare ‘modello di management finanziario anziché occasionale causa di scandali’; e se c’erano pochi italiani in ruolo di vertice pazienza, ‘non siamo il Vicariato di Roma, ma la Chiesa universale’. Il prefetto della Segreteria per l’Economia usò metodi spicci, pianificò una centralizzazione degli investimenti dai contorni poco chiari, straripò, si fece molti avversari soprattutto tra gli italiani (tra questi, lo ha certificato egli stesso in questi giorni, il cardinale Becciu), alla fine è tornato in Australia per rispondere in tribunale alle accuse di abusi sessuali su minori. Condannato, incarcerato per 400 giorni, poi scagionato dall’Alta corte australiana, ora – starebbe tornando a Roma – si congratula con il Papa per il licenziamento di Becciu, dando il via ad un regolamento di conti che potrebbe prolungarsi. ‘Se Pell è ancora convinto che io sia disonesto non ci posso fare niente’, commenta serafico il cardinale sardo.

Becciu, ex Sostituto della Segreteria di Stato, ossia numero tre nella catena di comando vaticana dopo il Pontefice e il Segretario di Stato, ora è caduto in disgrazia. Il Papa lo ha inaspettatamente giubilato da prefetto delle Cause dei santi, togliendogli i diritti connessi al cardinalato: misura estrema che denuncia la gravità del caso. Francesco – lo ha raccontato lo stesso Becciu – ha perso la fiducia nel potente cardinale per via di una serie di aiuti finanziari – peculato e favoreggiamento sono l’accusa, non ancora formalizzata dalla magistratura vaticana – nei confronti dei suoi fratelli. La sanzione appare sproporzionata rispetto al reato contestato (o, quanto meno, ben altri sono i sospetti che aleggiano intorno a svariati porporati che pure non sono stati colpiti così pesantemente) al punto da far presumere che ci sia altro. Voci, illazioni per ora senza riscontro. Il cardinale e la sua famiglia respingono ogni addebito. Gli episodi contestati materializzano l’ipotesi di un conflitto di interessi che Becciu non ha dipanato. Con una conferenza stampa, peraltro, che il cardinale ha assicurato non fosse una ‘sfida’ al Papa, al quale ha confermato ‘fiducia’ e ‘fedeltà’, ma che, convocata in un’aula diversa dalla sala stampa vaticana per replicare alle accuse, ha mostrato plasticamente una contrapposizione al Papa.

Più che un contraccolpo, tuttavia, l’affaire Becciu è la riprova che la riforma delle finanze di Papa Francesco avanza, ancorché a fatica. Uscito di scena il cardinale Pell, infatti, la situazione in Vaticano si era calmata per alcuni mesi, fino al deflagrare, l’anno scorso, di un nuovo scandalo: la compravendita a titolo di investimento di un esoso immobile di Sloane Avenue 60, a Londra, all’origine di una indagine vaticana iniziata l’anno scorso e tuttora in corso. Il suo acquisto, con fondi della Segreteria di Stato, è stato deciso all’epoca in cui Becciu era Sostituto, mentre il suo successore, Edgar Pena Parra, ha tentato di finalizzare l’acquisto coinvolgendo lo Ior. La stessa ‘banca vaticana’, sospettosa, ha denunciato l’affare alla magistratura vaticana, che ha aperto un’inchiesta che ha già fatto cadere diverse teste. Un affare ‘opaco’ (copyright del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin) che ha accertato casi di ‘corruzione’ (parola del Papa sul volo di ritorno da Giappone e Thailandia). Ma che ha altresì mostrato come il Vaticano abbia, negli anni, sviluppato gli anticorpi: anziché partire da una denuncia esterna, da un’inchiesta della magistratura italiana, da una richiesta di rogatoria, infatti, in questo caso le denunce sono venute dall’interno. Per usare l’immagine del Papa: ‘E’ la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro, non da fuori’.

E’ la fine del 2019. Jorge Mario Bergoglio si convince che è necessario riprendere il filo della riforma, e accelera. In pochi mesi completa l’organigramma dei suoi collaboratori nell’ambito amministrativo, giudiziario e finanziario. Nomina Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo di Roma, presidente del Tribunale vaticano (3 ottobre), il gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero prefetto della Segreteria per l’Economia (14 novembre), Carmelo Barbagallo, ex Banca d’Italia, all’Authority finanziaria (27 novembre), nonché, l’8 dicembre, il cardinale filippino Luis Antonio Tagle alla guida della potente Congregazione per la Evangelizzazione dei popoli.

Nomi che tornano, ancorché sottotraccia, in questi giorni. E’ la magistratura vaticana guidata da Pignatone che, con l’ausilio della Guardia di finanza italiana, svolge le indagini sui movimenti finanziari di Becciu. Quanto a padre Guerrero, è lui l’architetto del nuovo codice degli appalti che il Papa firma la scorsa primavera. Un testo di legge che combatte ‘le frodi, il clientelismo e la corruzione e per prevenire, individuare e risolvere in modo efficace i conflitti di interesse insorti nello svolgimento delle procedure in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la trasparenza e la parità di trattamento’. Tra i motivi di incompatibilità all’iscrizione nell’Elenco dei dipendenti e degli incaricati professionali temporanei, per dire, c’è il fatto di essere ‘parente fino al quarto grado o affine fino al secondo grado di un soggetto riferibile ad un operatore economico che abbia presentato offerta’. Se nel corso dei decenni sono abbondati, attorno alle finanze dello Stato Pontificio, scandali maggiori, dal crac del Banco ambrosiano al riciclaggio di soldi della criminalità organizzata, il codice degli appalti previene una prassi, minore ma non per questo meno pervasiva, che ha causato non pochi danni alla organizzazione, alla credibilità, nonché alle casse dello Stato pontificio: la gestione informale della sua economia, che siano immobili, assunzioni o, appunto, appalti; i rapporti personali, clientelari o famigliari, che si intrecciano con le decisioni di spesa; i canali preferenziali che prevalgono sulla trasparenza; i piccoli o grandi privilegi propiziati da qualche conoscenza altolocata.

Quanto a Barbagallo, è impegnato in prima linea nella periodica visita che Moneyval, l’organismo del Consiglio d’europa responsabile per il contrasto al riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo internazionale, farà a partire dal 30 settembre in Vaticano: ‘E’ cruciale arrivare preparati, far emergere i molteplici progressi compiuti nel sistema dei controlli e le premesse oggi poste per un loro stabile consolidamento’, ha detto di recente. Ne va della credibilità della Santa Sede. E dei suoi conti.

Sì perché il problema di fondo è la sostenibilità finanziaria del piccolo Stato pontificio. Il Vaticano non ha entrate autonome, come le tasse di uno Stato normale, ma solo ricavi degli investimenti, rendite degli immobili, e gli introiti dei Musei vaticani, che a causa della pandemia hanno dovuto dapprima chiudere per tre mesi e poi, alla riapertura, hanno registrato, come del resto le altre mete turistiche romane, un calo del 90% di visitatori. Sempre a causa del coronavirus il budget preventivo del 2020 è stato approvato con 53 milioni di deficit, già coperti. Gli uomini del Papa hanno subito approntato un piano di risparmio, dai contratti esterni ai viaggi all’estero alle consulenze esterne, che non ha toccato salari e posti di lavoro ma ha comunque imposto l’austerity. Il problema, tuttavia, va ben al di là della pandemia.

Nel corso degli anni, già prima di Francesco, i conti vaticani mostravano crepe: tra le uscite, spese previdenziali in aumento, costi di manutenzione sempre alti, nonché attività (caritatevoli, comunicative) che hanno grande valore per l’evangelizzazione ma poco o nullo ritorno economico. Anche le entrate, però, soffrono: l’Obolo di San Pietro, ossia le donazioni dei singoli fedeli di tutto il mondo, è calato; alcuni grandi donatori, soprattutto statunitensi, poco in sintonia con le posizioni di Papa Francesco, hanno ridotto i loro assegni; e le Chiese che tradizionalmente contribuiscono di più alle casse vaticane, ad esempio quella degli Stati Uniti e quella tedesca, sono alle prese con il calo dei fedeli e, soprattutto, con esosi accordi finanziari con le vittime di abusi sessuali, che le hanno rese più prudenti. Per questo motivo negli uffici vaticani in questi mesi si stanno studiando nuove forme di razionalizzazione e risparmio, dalla centralizzazione degli investimenti (una strada già tentata dal cardinale Pell) ad una più oculata gestione del personale (sempre senza licenziamenti) ad una impostazione dei bilanci più mirata.

Il Papa ha piena consapevolezza dell’enorme valore di tante attività più o meno conosciute, che ci sono in Vaticano. Dalle opere pastorali alle attività caritatevoli, dallo sforzo mediatico per diffondere il Vangelo al patrimonio culturale di basiliche, archivi, opere d’arte: tutti asset che, se ben valorizzati, potrebbero anche avere un ritorno economico per sostenere la barca di Pietro. Vascello che, al contrario, gli scandali, i conflitti di interesse, il clientelismo, possono affondare.