Perché Massimo Galli dice che è troppo presto per cantare vittoria

L'infettivologo: con le scuole e il ritorno al chiuso nuovi rischi

SET 17, 2020 -

Roma, 17 set. (askanews) – Rispetto ad altri Paesi sembra ai più che l’Italia quest’estate se la sia in qualche modo cavata, riuscendo a contenere nonostante qualche leggerezza la curva dei contagi da Sars-Cov-2. Adesso però le scuole sono riaperte, poi le temperature che si abbasseranno e tutti dovremmo ritornare al chiuso, nei locali, aule, uffici, mezzi di trasporto, con i riscaldamenti accesi e senza finestre o finestrini aperti. Da ora in poi che succederà? L’infettivologo Massimo Galli, responsabile del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco-università degli Studi di Milano da medico, in primis, rimette subito tutto nella prospettiva, nitida e senza fronzoli di chi vede e cura nelle corsie i malati di Covid: “Prima di cantare vittoria io domanderei ai 255 morti che ci sono stati solo in Lombardia dal primo di luglio al 16 di settembre cosa ne pensano? Sono 255 morti, e in Italia chiaramente molto di più, causati da infezioni che non sono più quelle del lockdown. Se interrogati non ci direbbero che ce la siamo cavata queste estate”.

“Possiamo dire – precisa Galli – che noi, soprattutto a partire dalla metà di luglio, abbiamo mantenuto una situazione di focolai diffusi. Situazioni legate a fenomeni che potevano essere peggiori come lo sono state in passato, ma io ricordo che troviamo i casi in relazione al numero di tamponi che facciamo. E questo un po’ di allarme me lo lascia”. Il numero dei test che facciamo quotidianamente in Italia non è sufficiente quindi per stare tranquilli. “Inoltre – aggiunge – negli ultimi giorni stiamo osservando un certo rialzo dell’età media dei diagnosticati, modesto e tendenziale ma che spiega perché abbiamo più richieste di ricovero, almeno negli ospedali di riferimento, e perché abbiamo qualche paziente in più in rianimazione”.

E’ il lascito di quelle vacanze che hanno portato prima un’ondata di asintomatici con un’eta media sempre più bassa, che poi ha raggiunto le fasce di età più elevate e sta riposizionando l’età media dei contagiati. Adesso sono riaperte le scuole, c’è il rischio che si aprano focolai tali da uscire fuori controllo? “Ovviamente sì, ma la riapertura delle scuole era necessaria, è una delle attività essenziali del Paese quindi nel momento stesso in cui si decide di seguire la via, assolutamente inevitabile, della convivenza con la pandemia è chiaro che ci si deve anche mettere nella situazione di poter riaprire le scuole”. “Il rischio zero – rimarca Galli – non esiste e non esiste nemmeno la possibilità di essere totalmente preparati. E questo perché? Per colpa degli ultimi sei mesi? Negli ultimi sei mesi magari si poteva fare anche di più per carità ma credo che valga la pena di ricordare, e ricordare molto bene, che le nostre scuole sono in una condizione ‘architettonica’ complessa, per non dire carente, non da sei mesi ma da trent’anni”.

“Per tenere sotto controllo i focolai nelle scuole bisogna fare quello che si è iniziato a fare: io ho predicato più volte la mia convinzione in merito alla necessità di adoperarsi per avere una presenza sanitaria maggiore all’interno delle scuole, come fatto organizzativo”, ricorda l’infettivologo. Che se deve dare un giudizio su cosa è stato fatto per riaprire in sicurezza e sullo stato dell’arte, però è un po’ titubante per una ragione di onestà intellettuale: “Chi fa trova difficoltà e può sbagliare, chi non fa è in una posizione da questo punto di vista molto più facile. Mi dichiaro veramente soddisfatto e convinto di quello che è stato fatto finora? Non potrei farlo come credo non lo può fare nessuno. D’altro canto sono assolutamente dell’opinione che l’ apertura doveva essere tentata e posta in atto meglio”.

Sarebbe stato utile fare test rapidi come i sierologici con il pungidito agli studenti? “Lo dico da marzo – risponde Galli – i test rapidi sierologici sono utili e sarebbe stato anche utile avere un vasto tempo zero al rientro nelle scuole, sia per il personale, che per i genitori che per i ragazzi. Prima dell’inizio della scuola sarebbe stato utile sapere come stavano messe tutte queste persone. Possibile, praticabile, sostenibile? Probabilmente no. Lo dico onestamente. Tanto è vero che lo stiamo valutando in termini sperimentali in alcune realtà. Il sistema non sarebbe stato probabilmente in grado di gestire questa cosa nel breve periodo su tutta la popolazione scolastica. Diverso il discorso, e per fortuna su questo percepisco una convergenza, che si debba andare verso un utilizzo più ampio e molto più articolato dei test rapidi per la determinazione dell’antigene virale, come quelli che si fanno negli aeroporti. Non si può bloccare un’intera famiglia per giorni se il bambino ha la febbre, perché sta aspettando il risultato di un tampone”.

“Fare il pungidito per uno screening periodo sulla stato della scuola avrebbe sicuramente un’importanza. Ma non siamo cerri che il sistema lo possa sostenere. Non è un problema di efficacia – spiega Galli – tutti i test rapidi possono anche essere criticati dal punto di vista della loro sensibilità, che alla fine dei conti però, si è dimostrata non essere inferiore a quella di altri test più sofisticati fatti nei laboratori ufficiali. Su questo discorso si è già espressa qualche autorevole voce dicendo che il numero e la frequenza e la sostenibilità superano di gran lunga i limiti eventuali di sensibilità. Cioè se io per fare le cose bene ne faccio 100 quando occorrono 10.000 test, nel momento in cui ne ho fatto in maniera veloce 8000 su 10.000 avrò sicuramente un risultato migliore rispetto a quello dei 100 fatti bene”. Al di là di uno screening periodico con il test sierologico rapido sulla popolazione studentesca “già sarebbe importante poter avere un test rapido con il tampone di fronte a un caso sospetto, per sapere se un bambino è positivo o negativo al coronavirus. Già sarebbe importantissimo avere una risposta immediata e sul posto. I test rapidi a tampone ti possono dare una risposta in 15 minuti e – rimarca l’infettivologo – sul posto. Però anche per questo bisogna che ci sia un operatore che fa il test e lo legge con tutte le necessità organizzative conseguenti”.

Quindi, c’è ancora da mettere a punto il sistema di controllo contagi con le riapertura delle scuole. E intanto si affaccia il timore di quello che potrà succedere con l’abbassamento delle temperature, il rientro al chiuso nei locali (e nei mezzi di trasporto), senza finestre aperte, con gli impianti di riscaldamento, il ritorno di tutti (o quasi) negli uffici et similia specie nelle grandi città. Il 15 ottobre finisce infatti lo stato di emergenza per il coronavirus e, di conseguenza, cambiano anche le regole per lo smart working “semplificato”. Come faremo? “Questi – commenta l’infettivologo – sono i grandi interrogativi a cui non è stata data completa risposta. Io mi auguro che la lezione avuta ci consentirà per lo meno di circoscrivere i problemi prima di vederli manifestati. Bisognerà anche vedere come si sviluppa la situazione, che cosa succede da qui al 15 ottobre. Io mi auguro – ripete – che ci sia l’attenzione sufficiente per considerare la situazione e prendere di conseguenza le decisioni opportune. Non si può tornare come prima. Io credo che questa cosa ci abbia dato un’importante lezione che influenzerà i costumi, le abitudini. Comunque non si può ritenere di tornare tanto presto, sicuramente non entro il 15 ottobre, a fare esattamente come prima”.

Gtu