Ricerca, dalle conchiglie il clima degli ultimi 66 milioni di anni

Ricostruite 4 fasi che aiutano a simulare scenari futuri

SET 11, 2020 -

Roma, 11 set. (askanews) – Un team di ricercatori internazionale di cui fa parte la professoressa Claudia Agnini del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova ha recentemente pubblicato su “Science” lo studio dal titolo “An astronomically dated record of Earth’s climate and its predictability over the last 66 Million Years” che ha consentito di ricostruire in modo dettagliato la storia del clima sulla Terra negli ultimi 66 milioni di anni.

L’unicità della ricerca – spiega Unipd – sta nell’aver utilizzato il più prezioso archivio geologico a disposizione: i sedimenti provenienti dai fondali oceanici. Si è creato così il più completo dataset paleoclimatico ad alta risoluzione oggi disponibile: il CENOGRID (CENOzoic Global Reference benthic foraminifer carbon and oxygen Isotope Dataset) che disegna la nuova curva di riferimento climatico terrestre dall’ultima grande estinzione 66 milioni di anni fa, che ha introdotto il Cenozoico. Le informazioni sul clima antico sono state dedotte dai gusci di microrganismi bentonici, i foraminiferi, misurandone la composizione isotopica (ossigeno e carbonio).

Altro approccio innovativo della ricerca è l’utilizzo dell’analisi statistica nella quantificazione delle ricorrenze. Quest’ultima, applicata ai sistemi dinamici come quello climatico, ha fornito i forcing orbitali (l’effetto sul clima di lenti cambiamenti nell’inclinazione dell’asse terrestre e nell’orbita del nostro pianeta) legati alle variazioni da lunga insolazione. Si sono così potuti determinare quattro stati climatici negli ultimi 66 milioni: hothouse, warmhouse, coolhouse e icehouse. La fase di hothouse è documentata a circa 50 milioni di anni e rappresenta il periodo più caldo dell’interno Cenozoico, questa viene anticipata e seguita da due fasi di warmhouse. A partire da 34 milioni di anni fa inizia la fase di coolhouse seguita dalla fase di icehouse che si caratterizzano per l’istaurarsi della calotta antartica e artica.

Ciò che diventa importante, attraverso la ricerca, è possedere con certezza i dati della fase di hothouse. Ora sappiamo con maggiore precisione quando era più caldo o più freddo il pianeta e abbiamo anche una migliore comprensione delle dinamiche sottostanti. Infatti in un contesto di global change, come quello attuale, si potranno simulare gli scenari più pessimistici pubblicati dall’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) per i prossimi 300 anni e che prevedono l’innalzamento della temperatura di circa 8°C. Se il nostro pianeta, durante la fase di hothouse, ha già sperimentato condizioni estreme, le dinamiche del sistema climatico ora ipotizzabili nel dataset dello studio potranno fornire indicazioni preziose per la costruzione di modelli previsionali sempre più precisi.

Per 50 anni gli strati di sedimento perforati in tutto il mondo sul fondo degli oceani sono stati classificati attraverso le spedizioni scientifiche coordinate a livello internazionale dell’International Ocean Discovery Program (IODP) e dei suoi programmi precedenti (DSDP, ODP, IODP). Studiando questi sedimenti e i microfossili all’interno, gli scienziati sono stati in grado di ricostruire e analizzare i cambiamenti climatici globali del lontano passato. Gli isotopi di ossigeno e carbonio hanno fornito informazioni sulle temperature passate nelle profondità marine, sui volumi globali di ghiaccio e sul ciclo del carbonio. Questi indizi, conservati nei gusci di microrganismi che un tempo vivevano sul fondo del mare, rappresentano un archivio delle condizioni climatiche passate che i ricercatori usano per fare confronti tra passato, presente e futuro. Negli ultimi due decenni i programmi di perforazione scientifica hanno analizzato strati geologici più vecchi.

In futuro, la nuova curva di riferimento climatico CENOGRID può servire da base per i ricercatori di tutto il mondo: con più dati è ora possibile non solo affinare ulteriormente il quadro del passato climatico, ma anche identificare le complessità regionali e testare l’affidabilità dei modelli climatici per il futuro.