La storia del virus che circola nell’aria (spiegata da Cartabellotta)

L'esperto su molti temi tra cui quello della trasmissione del SARS-CoV-2

APR 4, 2020 -

Roma, 4 apr. (askanews) – Continuiamo ad ascoltare ogni sera i numeri del bollettino della Protezione civile aspettando che i numeri scendano. E ci aspettavamo un picco e una discesa, dove tirare il fiato, così non è e non sarà, siamo su un “altopiano”. Nino Cartabellotta, medico, esperto a tutto tondo di medicina, metodologia e sistemi sanitari, molto seguito anche sui social, ci spiega a che punto siamo della curva epidemiologica, e svela che oggi stiamo vedendo quello che “era nascosto sotto il tappeto”. “L’incremento percentuale dei nuovi casi, il numero “magico” per monitorare l’andamento dell’epidemia, dopo una riduzione progressiva dal 14,9% (19 marzo) all’8,3% (26 marzo) sino al 4,1% (30 marzo), negli ultimi giorni si è stabilizzato con modeste variazioni giornaliere. Questo, se da un lato dimostra l’efficacia delle misure di distanziamento sociale, dall’altro rileva che – come già precisato dalle Istituzioni – che abbiamo raggiunto una fase di plateau, ovvero una sorta di ‘altopiano’ invece di un vero e proprio picco dopo il quale tutti auspicavamo una rapida discesa dei nuovi casi. Le motivazioni sono almeno 3. Innanzitutto l’incremento percentuale dei nuovi casi non è omogeneo tra le diverse Regioni: oggi varia dal 3,2% di Lombardia e Marche al 9% della Campania. In secondo luogo, risente delle diverse policy regionali nell’effettuazione dei tamponi. Infine, le misure di distanziamento sociale, nonostante la severità e il rigore da noi percepito, non configurano un lockdown totale”. Il presidente della Fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze) ci spiega perché quindi quel numero giornaliero di nuovi contagi resta ancora alto: “Il numero dei casi giornalieri rimane elevato nonostante siamo scesi al 4% di incremento percentuale perché partiamo da un numero assoluto che è molto elevato (oggi quasi 120.000); di conseguenza, in questa fase di plateau ogni giorno i nuovi casi sono sempre sull’ordine delle migliaia”. Abbiamo fatto sacrifici e sono serviti ma “questa è sicuramente una delle fasi più delicate nella gestione dell’epidemia, sia perché i risultati ottenuti potrebbero infondere una falsa percezione di sicurezza, sia per le numerose incognite nella diffusione del virus e del suo contenimento, sia perché stiamo finalmente guardando la polvere nascosta sotto il tappeto. Ovvero, l’unica risposta per favorire la discesa dei casi è mantenere e rispettare rigorosamente tutte le misure di distanziamento sociale, monitorando con estrema attenzione l’insorgenza di nuovi focolai e mettendo in sicurezza tutti gli operatori sanitari in ospedale e sul territorio, inclusi quelli che lavorano in residenze per anziani e case di riposo”. Le misure di distanziamento sociale restano la nostra ancora, quindi, ma secondo alcuni studi il virus è molto più insidioso; è vero che “circola nell’aria”? “La comunicazione pubblica su questo aspetto è stata un po’ fuorviante. Il virus non circola affatto nell’aria, ma in occasione di colpi di tosse e, soprattutto di starnuti, potrebbe diffondersi non solo con le goccioline (droplets), ma con una ‘turbolenta nuvola di gas’, ovvero tramite la produzione di aerosol. Gli scienziati e le autorità sanitarie di tutto il mondo stanno studiando l’impatto di questa modalità di trasmissione: se confermata è evidente che bisognerebbe rivedere la distanza di sicurezza e modificare le raccomandazioni sull’uso delle mascherine”. Quindi L’immunizzazione è l’unico modo certo per essere al riparo dal contagi ? “Al momento i casi di reinfezione segnalati sono occasionali, ma non sappiamo ancora se la risposta anticorpale conferisce a tutti una immunità permanente. In attesa di un vaccino che difficilmente sarà disponibile prima di 12-18 mesi, a molti degli interrogativi che riguardano l’immunizzazione delle popolazioni potranno rispondere solo il tempo e la ricerca. Sicuramente i contagi saranno moltissimi, ma solo una parte si ammalerà e molti non sapranno mai di aver contratto il virus. Ma il prezzo da pagare in termini di vite umane è condizionato dalla capacità di applicare rigorosamente le misure di distanziamento sociale”. Perché – ricorda Cartabellotta – “il coronavirus non è certo una ‘banale influenza’, ma i tassi di letalità raggiunti in Lombardia conseguono allo tsunami che si è abbattuto sugli ospedali: troppi casi in troppo poco tempo. Il contributo che ciascuno di noi sta offrendo, stando a casa, è rallentare la velocità del contagio per distribuire i casi in un arco temporale più lungo che permette al servizio sanitario di gestire i pazienti senza affanno”.

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