Psichiatri: coronavirus ha due facce. Una è “mentale”

Aumenta rischio ansia e depressione

FEB 27, 2020 -

Roma, 27 feb. (askanews) – L’epidemia da coronavirus ha due facce, una di tipo biologico e una più legata alla mente, dunque cognitiva. Questa è più nascosta perché non si può misurare con un termometro, ma è altrettanto pericolosa. “Gli esseri umani – spiega Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP) e direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO3 e – hanno una paura che li accomuna: il timore di essere travolti da un’epidemia. È una paura così radicata da arrivare a far compiere azioni incontrollate, quelle di chi non sa più cosa fare e le prova tutte per salvarsi. Questo timore atavico – precisa Zanalda – è amplificato dalla infodemia, la diffusione virale e velocissima, che in passato non esisteva, di notizie parziali e contraddittorie, quando non addirittura false, che può causare un crollo di fiducia nei rapporti tra le persone e nelle Istituzioni, e rendere più potente l’effetto sulla psiche di un fenomeno che è sempre esistito”. “In Italia, che è il paese europeo con il maggior numero di casi accertati – spiega il prof Massimo Di Giannantonio, presidente eletto della SIP e ordinario di psichiatria all’Università di Chieti-Pescara – si registrano ingiustificate ed eccessive reazioni psicologiche alla diffusione di notizie sul virus, unitamente alle misure che le autorità hanno assunto al fine di contenere il contagio. Un mix ansiogeno che ha modificato le nostre abitudini e la percezione di salute e benessere individuale. Non siamo dunque ‘attaccati’ solo da un virus influenzale severo – precisa Di Giannantonio – ma anche da una epidemia cognitiva che rischia di generare non solo spavento e confusione ma anche panico di massa e ansia da untori”.

“Ciascuno di noi – prosegue Zanalda – si è interrogato sulle motivazioni di misure così drastiche: la chiusura delle scuole delle chiese, dei musei, la sospensione degli eventi culturali e sportivi. Tutte cose che ci rendono in qualche modo più fragili davanti ad una minaccia invisibile. Più che la malattia in sé ciò che si teme è la paura del contagio sia dalle che verso le persone con cui veniamo in contatto come familiari, colleghi, amici”. (segue)